«In Africa e prima di venire qui da voi, scappando a bordo di un barcone, io facevo il sarto. Ora sto mettendo le mie capacità al servizio di don Antonio, dei torresi, degli italiani. Io e i miei amici vorremmo produrre 300 mascherine al giorno per proteggervi dal Coronavirus. Non preoccuparti Italia. Tutto andrà bene». A parlare è Modu. Lui ha 20 anni, viene dal Gambia, ha due grandi occhi scuri. Quasi sembrano scrutarti per entrare nel tuo animo.
I suoi occhi, profondi e neri come la pece, sono però anche tristi. Perché, ancora giovanissimo, Modu ha visto le torture praticate dai carcerieri nelle prigioni libiche: «Lì tutto è permesso, ci sono stato quattro mesi. I maschi vengono picchiati senza motivo e con dei bastoni di legno. Le donne violentate di continuo» prosegue mentre, con pazienza e maestria, taglia e cuce un’altra mascherina contro il virus. Quello che ora infetta il suo nuovo Paese. L’Italia, sì.
Minacciata dalla pandemia e dall’incubo del contagio. Modu ha gli occhi tristi non solo per i macabri ricordi lasciati a bordo di un barcone e ormai lontani. Il migrante sbarcato tre anni fa al porto di Pozzallo, oggi invece ospite della casa alloggio gestita a Torre Annunziata dal salesiano anti-camorra don Antonio Carbone, proprio in città ha subito nell’estate scorsa un insulto a sfondo xenofobo.
«Rimasi sorpreso» ricorda Modu «a gridarmi contro ‘Forza Salvini’ furono dei signori anziani. Non è stato l’unico caso. All’inizio mi arrabbiavo. Poi ho imparato a farmi scivolare tutto addosso». Il giovane del Gambia sbarcato in Sicilia dopo un lungo viaggio in bus che ha attraversato tre Paesi – Mali, Burkina Faso, Niger – è stato bravo a dimenticare tutto in fretta.
E ora insieme ad altri 20 fra migranti e minori a rischio, tutti accolti da don Antonio Carbone nelle due comunità alloggio “Mamma Matilde” e “Peppino Brancati” in via Margherita di Savoia, Modu prova a infondere coraggio alla gente di Torre Annunziata. «Modu è intelligente, ha cultura. In Gambia ha studiato e lavorato – spiega don Antonio – faceva il sarto ed è per questo che ha deciso di insegnare ai compagni come cucire delle mascherine. I miei ragazzi, grazie alle capacità di Modu, hanno deciso di produrle e di donarle ai cittadini che ne avessero bisogno per proteggersi» il progetto è ambizioso.
Don Antonio, fino a oggi, è riuscito a recuperare tre vecchie macchine per cucire. Altre due saranno invece acquistate dalla Onlus “Salesiani per il Sociale” e inviate nei prossimi giorni a Torre Annunziata. «Manca tanto materiale. Dalle pezze fino agli elastici e alle molle. Siamo insomma in fase di rodaggio» continua il sacerdote salesiano «ma vorremmo riuscire a produrre fino a 300 mascherine al giorno. Quelle chirurgiche o col filtro, in farmacia sono introvabili. Noi le faremo in tessuto, anche grazie all’appoggio economico degli amici dell’associazione salesiana di Roma.
Saranno delle mascherine al solo scopo precauzionale». A tifare per l’Italia e per i torresi, oltre a Modu, ci sono pure Alì, che ha 17 anni ed è pakistano. Poi Al Amin, 23enne del Bangladesh. Lui è in Italia da più tempo e ha pagato ai trafficanti l’equivalente di 1500 euro per inseguire un sogno chiamato libertà. Al Amin, sei anni fa, è scappato dalla corruzione della classe dirigente di Narshingdi, un distretto del suo Paese, tra le zone più povere del mondo. Adesso, dopo essere stato accolto a Torre da don Antonio Carbone, lavora come pizzaiolo in un famoso locale di Pompei.
Ma appena gli è possibile, Al Amin torna al centro salesiano per aiutare il sacerdote. «Mi sta dando una mano per insegnare un mestiere a tutti i ragazzi accolti nelle nostre case famiglia o in orfanotrofio» svela il parroco. Che in effetti, anche ai tempi del Coronavirus, tiene aperto “Mani in Pasta”, ovvero il laboratorio di pizzeria inaugurato il 4 novembre scorso nel suo centro di recupero grazie al contributo delle Onlus “Missioni Don Bosco Valdocco” e “Salesiani per il Sociale”. Don Antonio, in questo modo, proverà a togliere i ragazzi e i suoi migranti dalla strada. Loro, nel frattempo, fanno mascherine. E, ai tempi del Coronavirus, gridano in coro: «Italia, tutto andrà bene