Perché parla di effetti a lungo termine?
«La crisi del 2008 c’insegna che servono anni per venirne fuori. Si sono paralizzate le attività produttive, bruciati posti di lavoro e ancora non sappiamo come evolverà questa emergenza tanto in Italia quanto nel resto del mondo».
Quale può essere la strada per venirne fuori?
«Il discorso è lungo, serve un cambio di mentalità che purtroppo non è nelle corde di una classe dirigente scadente a tutti i livelli in questo momento storico».
Perché lo sostiene?
«Perché a livello locale un privato che investe deve sudare per avere un’autorizzazione, mentre a livello nazionale vengono varati ancora decreti che non tengono conto delle aziende, delle imprese, perseguendo il mito assistenzialista».
I capitali privati possono essere d’aiuto per uscire dalla crisi.
«Certo, in un mondo normale dovrebbero essere stimolati gli investimenti. Ma francamente ci credo poco alla possibilità che usciti da questa emergenza si cambi il modo di rapportarsi tra pubblico e privato, almeno al Sud. La vera rivoluzione dovrebbe partire dai cittadini che dovrebbe portare alla guida degli enti locali persone di comprovata capacità».
La convince il decreto Cura-Italia?
«Un documento raffazzonato, dove si parla di tante cose, ma stringi-stringi di sostanza ce n’è poca. Slittare i pagamenti dal 16 al 20 marzo, tranne per alcune cose, serve a poco. Stesso discorso per la cassa integrazione per nove settimane o i 600 euro che vengono dati agli stagionali che lavorano nel settore turistico. Sono pannicelli caldi».
Si sarebbe aspettato qualcosa in più?
«Forse è quello che al momento può fare l’Italia. Ma il problema è che se lo rapportiamo a quanto stanno facendo le altre nazioni il gap c’è. La verità è che ci vorrebbe il coraggio di indebitarsi oggi, ma per creare le condizioni per lavorare domani, in modo da saldare il debito. Fin quando si percorrerà la strada assistenzialista non si risolverà mai nulla».
E il Sud rischia di essere nuovamente travolto da questa crisi?
«Ho una teoria: al Nord il virus s’è diffuso più velocemente e in modo più esteso perché lì ci sono più aziende, industrie che hanno frequenti rapporti commerciali e di business con la Cina e l’estero in generale. Quando finirà questa emergenza, loro avranno una marcia in più per ripartire mentre le aziende del Sud dovranno tornare ad affrontare il problema della poca liquidità».
Cosa potrebbe fare il Governo?
«Bisognerebbe stipulare un nuovo patto pubblico-privato, qualcosa tipo la Cassa del Mezzogiorno. La Cassa Depositi e Prestiti ha cominciato a fare qualcosa, ma le risorse sono ancora poche».
Soldi, alla fine è sempre quello il problema.
«Il problema è avere una classe dirigente che si fa trattare in Europa e nel Mondo come una nazione di Serie B. Purtroppo manca l’autorità per andare a dire su tutti i tavoli che l’Italia è la patria della civiltà, del diritto, della cultura e possiede un patrimonio unico. Servono personalità autorevoli, che oggi non abbiamo».