Derrick de Kerckhove, sociologo canadese di origine belga, Direttore scientifico di MediaDuemila-Osservatorio TuttiMedia”, è uno dei massimi esperti di comunicazione e di nuovi media. Gli abbiamo chiesto che mondo sarà quello che uscirà dall’emergenza coronavirus. «Con questa crisi per la prima volta abbiamo l’evidenza incontrovertibile che il mondo intero è un solo spazio. Siamo obbligati a constatare che la minaccia è la stessa, in tutto il mondo. Questo di sicuro avrà delle conseguenze».
In particolare per le giovani generazioni, non crede? Questa è la prima vera emergenza che stanno vivendo i millenials, e non solo..
«Certo. E’ uno choc traumatico, quello che stanno vivendo, ma questo isolamento forzato, per certi aspetti ha anche dei lati positivi. Fermarsi un po’, o quanto meno rallentare i ritmi frenetici dell’attività normale anche per gli adulti, può sicuramente portare dei benefici. Come “insegnamento”, poi, credo che soprattutto i ragazzi da qui in avanti saranno molto più attenti e sensibili alle tematiche ambientali».
Una riflessione, questa, che dovrebbe riguardare anche i “grandi”, anche se al momento non sembra che la lezione sia stata compresa…
«Assolutamente no, il modo in cui i capi di stato mondiali stanno affrontando quest’emergenza è assolutamente stupido. Ognuno all’inizio, nonostante l’esempio di quanto accaduto in Cina, ha sottovalutato il problema favorendo il dilagare dell’epidemia, salvo poi adottare il pugno duro, con l’effetto collaterale di bloccare totalmente anche l’economia. Aggiungiamoci che si è agito, e si continua ad agire tutt’ora, senza un coordinamento internazionale, e il quadro è completo. Stiamo contribuendo a creare una situazione le cui conseguenze peseranno a lungo sui più giovani».
Parla delle conseguenze economiche?
«Quelle saranno le più evidenti, ma non le uniche. Anche sul piano politico, è evidente che la democrazia e in pericolo e un modello molto più autoritario rischia di farsi strada, perché è l’unico che sta rivelandosi efficace per affrontare l’epidemia. Prendiamo la situazione cinese: lì, essendo lo stato accentratore, ha accesso ai dati personali di ciascuno, anche elettronici. Attraverso i quali è stato possibile seguire in tempo reale gli spostamenti di ciascuno, impedendo l’ulteriore dilagare del contagio, e al tempo stesso individuare e punire i trasgressori dei divieti imposti dall’emergenza. Ora vediamo invece quello che sta accadendo in Italia: ad oggi, il numero di denunciati ha superato quello dei contagiati, la disciplina, o l’autodisciplina, è vista con fastidio, anche quando necessaria. Sia chiaro, questo vale per tutta la cultura occidentale, dove il concetto di individuo – e il suo interesse… – prevalgono su quello di comunità».
E crede che questo potrà influenzare i comportamenti dei giovani?
«Di sicuro i ragazzi incominciano a capire che la comunità è centrale nella loro vita. Vedere le piazze e le strade vuote per loro è traumatico, ed ecco che diventa necessario un momento di respiro, come quello di cantare e suonare fuori dai balconi di casa. Sono, anzi siamo, noi tutti, obbligati a ripensare il mondo. Ripensare anche il nostro mondo interiore, lo spazio virtuale. Con il confino forzato in casa, quest’ultimo ha preso il sopravvento, e per i giovani già la tendenza è ad “abusarne”, soprattutto attraverso i social. Il problema è il mondo reale, il corpo: anni fa si diceva che la tv ha creato persone senza gambe; con gli smartphone, oggi, siamo ancora più “mutilati”».
Sotto questo aspetto però il ritorno alla normalità potrebbe servire?
«Di sicuro la sete di una vita sociale vera, reale, il ritorno in strada, in piazza, in discoteca, il toccare la realtà fisica, sarà un momento di liberazione importante, come per i detenuti che escono di prigione o come una liberazione dopo la guerra. Forse invece di andare sui social, i ragazzi riprenderanno a vivere nel mondo reale piuttosto, che quello virtuale».