Ha combattuto di petto la mafia di Totò Riina e Bernardo Provenzano. E’ stato il primo ad avere il coraggio di dar vita a un’associazione anti-racket in Italia nella sua Capo d’Orlando, vicino Messina. E lo ha fatto nel 1990, prima delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Prima che Cosa Nostra iniziasse a navigare nell’ombra. Ma persino il presidente onorario della Federazione Antiracket Italia, Tano Grasso, un uomo che ha avuto la forza di rischiare la vita per sfidare i boss, oggi fa fatica a trovare una luce in fondo al tunnel. «Sconfiggeremo il Coronavirus, forse, ma di questo passo non sconfiggeremo mai il virus delle mafie», ripete a denti stretti dal telefono.
Dottor Grasso il Viminale dice che sono diminuiti tutti i reati. Tutti, tranne l’usura.
«E non abbiamo ancora visto niente. Ho il timore che appena tutto questo sarà finito ci troveremo di fronte a una emergenza sociale senza pari».
Cosa intende?
«Ha presente il barista che le faceva il caffè la mattina?».
Certo
«Ecco mi spieghi come fa quell’uomo, che vive del suo lavoro quotidiano, a tirare avanti senza uno straccio di incasso. Come fa il pasticciere a fare la spesa. Parliamo di piccoli imprenditori che non navigano nell’oro e che lavorano per mettere il piatto a tavola. Possono resistere due settimane, un mese. Ma di questo passo sono già condannati al fallimento».
E diventano anche prede facili per gli usurai?
«Sì è vero. Ma è anche vero che alla fine nemmeno gli usurai gli faranno più credito. Perché non avranno nessuna garanzia da mettere in gioco. Evidentemente questa situazione di crisi sanitaria ed economica ha spinto qualche vittima degli strozzini a denunciare. Perché in realtà l’usura è un reato diffuso che però finisce all’attenzione dei magistrati solo quando lo strozzato è con l’acqua alla gola».
Ma secondo lei questa situazione di emergenza alla fine potrà favorire le mafie?
«Nell’immediato no. Le mafie soffrono gli effetti della pandemia. Hanno perso gli incassi delle estorsioni, perché tutti i negozi sono chiusi».
E in futuro?
«Se le cose restano così sicuramente sì. Il rischio è che questa emergenza alla fine potrà arricchire la galassia imprenditoriale delle mafie. Il barista che le faceva il caffè la mattina probabilmente non ci sarà più e quel negozio tirato avanti con tanti sacrifici finirà nelle mani della criminalità organizzata. Ecco cosa potrebbe accadere. Decine e decine di imprese consegnate di fatto nelle mani dei clan».
Ma perché il Governo non sembra pensare anche a questi temi?
«Lo dovrebbe chiedere a loro. E’ ovvio ci sono delle priorità ed è sacrosanto. La sanità è in cima ai pensieri di tutti. Ma la questione economica e sociale è fondamentale. Altrimenti sconfitto il Coronavirus resteremo in balia del virus delle mafie. Un male contro il quale combattiamo da quasi un secolo».
Come se ne esce?
«La cosa che più mi deprime è il fatto che nessuno, quando hanno approvato le manovre economiche, ha interpellato i piccoli imprenditori. Quelli che lavorano per portare a casa il pane».
Mafia, imprese in ginocchio, poca liquidità. Il Sud rischia di distruggersi?
«Lo scenario è questo. E si continua a ignorare la questione meridionale. Intanto siamo di fronte a una potenziale bomba sociale. E sappiamo che nelle diseguaglianze il potere delle mafie cresce sempre di più».