Rosario Norato è un operaio stabiese di Fincantieri. Quarant’anni già compiuti, padre di due bambini, è rientrato a Pompei – dove risiede soltanto da qualche mese – alle 13,20 dell’11 marzo scorso. A bordo di un pullman partito da Ancona, dove si trovava in servizio in trasferta, è tornato nella zona di Messigno perché preoccupato per le sue condizioni di salute.
Febbre, mal di gola e mal di testa non gli hanno mai lasciato scampo, nonostante una cura di oltre una settimana somministratagli dal medico di famiglia. «Ho smesso di lavorare il 10 marzo mattina per sintomi influenzali, ho dovuto prendere una pillola in infermeria per i dolori presso lo stabilimento di Fincantieri, e il giorno dopo sono partito con il pullman. Di sera è iniziato il mio calvario dopo che l’Asl mi ha messo in quarantena forzata – racconta Rosario con la voce ancora tremante -. E’ passato quasi un mese e la mia richiesta di aiuto è rimasta inascoltata. Sono rientrato a Pompei proprio perché allarmato per la mia salute, mi sono auto-denunciato e immediatamente mi sono messo in contatto con un medico. A nulla sono serviti tutti i miei tentativi. Nonostante una prescrizione medica, con tanto di pec, nessuno mi ha sottoposto al tampone per escludere il contagio dal coronavirus. Mi dispiace ammetterlo, ma sono ostaggio della malasanità. E pensare che ogni giorno chiedo invano informazioni ai numeri di emergenza del Comune».
Rosario ricorda che già in serata, quando è rientrato a Pompei, dove vive da solo, «sono emersi sintomi febbrili preoccupanti». «Il mio medico è andato in pensione e ho fatto immediatamente in modo, tramite il Distretto 58, per essere assegnato a un altro dottore di famiglia. Ho ricevuto una cura che non ha sortito effetti, fortunatamente sin da subito ho preferito mettermi in quarantena per una mia etica personale. Ogni giorno sono in contatto col medico e ogni giorno è stupito dalla mancata somministrazione del test nonostante le prescrizioni mediche che accertano anche che sono da venti giorni in isolamento. Come si può definire tutto questo? Personalmente non ho parole, è soltanto una vergogna». Rosario ha chiamato ininterrottamente tutti i numeri di emergenza, a partire da quelli di Pompei fino a Castellammare, così come il centro operativo comunale di Gragnano. Telefonate che sarebbero state fatte «a vuoto, perché nessuno ha saputo fornirmi informazioni utili e peraltro sono stato illuso, mi dicevano che da qui a poche ore qualcuno avrebbe bussato alla mia porta».
L’operaio dell’indotto di Fincantieri, che si occupa di servizi in trasferta, ha dovuto lottare anche per ricevere assistenza alimentare. «Ho fatto i conti con continui rifiuti e questo per me è stato umiliante – racconta -. Non mi è stato dato modo nemmeno di provvedere al mantenimento dei miei figli. Soltanto dopo decine di chiamate in Comune sono riuscito ad assicurare un vaglio postale per la mia famiglia. Mi sento un uomo distrutto, inutile, prego qualcuno di darmi ascolto. Sono settimane che non esco di casa, rischio pure una condanna di dodici anni di carcere se dovessi mettere piede fuori dal portone, visto che mi sono autodenunciato come impongono le regole e nel rispetto dell’emergenza sanitaria. Mi dispiace ammetterlo, ma è servito a poco».
Rosario è distrutto, teme di essere positivo e teme di dover restare ancora rinchiuso in casa a lungo se nessuno si deciderà ad aiutarlo. «Tante persone sono già decedute in attesa del test, forse è ora necessario effettuare dei controlli con autorità competenti. Dopo questo calvario, se starò bene, mi offrirò come volontario per impedire che ad altre persone accada lo stesso».