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Il rischio di chiudere, allarme di Roberti: «Clan come avvoltoi sulle imprese in crisi»
CRONACA
1 aprile 2020
Il rischio di chiudere, allarme di Roberti: «Clan come avvoltoi sulle imprese in crisi»
Ciro Formisano

Gran parte della sua vita l’ha spesa nella trincea della giustizia. Ha combattuto in prima linea al servizio dello Stato quando la lotta alla criminalità organizzata sembrava una scalata quasi impossibile. Da Cutolo alle Brigate Rosse, fino alle faide di Gomorra. Oggi, però, Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia, è preoccupato come raramente gli è capitato in questi anni. Sa benissimo che i risvolti sociali ed economici della pandemia rischiano di aprire, specie al Sud, un’autostrada per i clan. «Servono più fondi per le fasce deboli del Sud. Lo Stato deve riuscire a competere con il welfare della criminalità organizzata. Altrimenti il divario tra il Mezzogiorno e il resto d’Italia rischia di allargarsi a dismisura», ripete a denti stretti dal telefono l’europarlamentare del Partito Democratico.

Onorevole, ma è vera questa storia che il virus rischia di diventare un alleato delle mafie?

«E’ vero se non si fa tutto il necessario per impedire che ciò accada. Veda, il disagio sociale e le diseguaglianze che stanno venendo fuori in questi giorni sono spazi nei quali la criminalità si insinua e cresce a dismisura. Prima reclutando masse di disperati, poi sedendo al tavolo dei grandi affari».

La sfida, quindi, è quella di offrire più di quanto offrono i clan?

«Lei si è mai chiesto perché la camorra si definisce un “sistema”?».

No, perché?

«Perché è qualcosa di complesso. Un meccanismo che ai suoi seguaci non offre soltanto soldi, ma un progetto di vita. Una prospettiva che li accompagna fino alla morte. Ecco questo progetto di vita si attua quando lo Stato non è in grado di offrirne un altro. Quando non c’è un’alternativa».

Quindi quale può essere la soluzione per evitare che i poveri messi in ginocchio dal virus non finiscano tra le braccia dei boss?

«Servono più soldi, più risorse per le fasce deboli, quelle più vulnerabili. Bisogna offrire sussidi e opportunità a queste persone per impedire che siano costrette a rivolgersi alla criminalità organizzata. In pratica lo Stato deve contendere ai criminali le fasce deboli attratte dal welfare della camorra».

Qualcuno però lo sta già facendo. I dati dell’usura (fonte Viminale) sono impennati nei giorni della pandemia

«E questo è evidente. Ne avevo parlato già qualche giorno fa prima che questa situazione venisse a galla. Era chiaro che il bisogno di liquidità avrebbe rappresentato “ossigeno” vitale per imprese e cittadini, soprattutto in zone dove il lavoro sommerso raggiunge picchi altissimi».

Ma i clan non hanno subito gli effetti della crisi?

«Le mafie, ancora oggi, hanno un potere economico enorme. Sono capaci di investimenti giganteschi. E se non vengono fermate dopo questa emergenza c’è il serio rischio che distruggeranno l’economia già depressa del Mezzogiorno e di gran parte della Campania».

E’ preoccupato?

«Molto. Lo Stato se vuole vince sempre. E stavolta deve vincere, altrimenti le conseguenze saranno drammatiche»

Ha letto dei gruppi che si organizzano per assaltare i supermercati in Sicilia e in altre zone d’Italia?

«Purtroppo in questo paese c’è sempre qualcuno che soffia sul fuoco della disperazione. E’ un film già visto. Come avvenne negli anni ’80 quando cavalcando il disagio sociale la camorra di Raffaele Cutolo si alleò con le Brigate Rosse».

Secondo lei c’è il rischio che questo scenario si ripeta anche oggi? Cioè un possibile patto tra criminalità e terroristi?

«Mi auguro di no».

Il problema restano dunque le diseguaglianze, il disagio?

«In un mondo dove l’1% delle persone detiene gran parte della ricchezza il tema delle diseguaglianze resta centrale. E’ una grande sfida politica attorno alla quale ruotano i più importanti temi sociali. A cominciare dalla lotta alla criminalità organizzata».

Sulle rivolte in carcere che idea si è fatto?

«Guardi questa pandemia ha trovato impreparato il nostro sistema sanitario. Ma anche quello economico e quello carcerario. I nostri penitenziari sono inadeguati per gestire una situazione del genere»

Nelle scorse ore il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato la possibile scarcerazione di chi deve scontare fino a 18 mesi di reclusione. E d’accordo con questa scelta?

«E’ una scelta che condivido. Un provvedimento necessario vista la situazione attuale»

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