L’aumento del grano e il rischio speculazioni sulla farina mette in crisi la filiera del pane. Oltre all’emergenza legata al Coronavirus che costringe molte famiglie a rinunciare anche agli acquisti, ce n’è un’altra legata al rincaro a livello internazionale. Che ha ripercussioni anche a livello locale. Metropolis in un viaggio lungo la “catena” di produzione che ogni mattina porta sulle tavole degli italiani quintali di pane ha provato ad ascoltare le voci di chi con la farina ci lavora. Dagli imprenditori a chi si sporca le mani tutti i giorni nei forni di provincia.
La famiglia Ambrosio investe nel grano da decenni: a Castellammare di Stabia c’è uno dei molini più produttivi dell’intero territorio. «Spesso si crea un polverone sul nulla» – racconta l’imprenditore di San Giuseppe Vesuviano alla guida di una delle più grandi aziende del territorio, Domenico Ambrosio – «Gli aumenti del 5% e del 10% che molti denunciano sono fisiologici, legati soprattutto al ritardo delle importazioni.
Le navi dall’Est che ci portano il grano oggi fanno più fatica, perciò per attendere un carico invece di 5 giorni ce ne vogliono quindici. E’ un falso allarme, tutto rientrerà entro poche settimane. Quello che sta mancando sono i sacchi di farina di uno e cinque chili, perché c’è stato un assalto ai supermercati. Oggi sono tutti diventati panettieri e pasticcieri fai da te». Dai produttori a chi le mani nella farina ce le mette tutti i giorni.
L’allarme dei panificatori è un grido d’aiuto. A Napoli e provincia sono oltre 1500 i lavoratori impegnati in uno dei pochi settori ancora aperti nonostante l’emergenza Coronavirus. Da Ottaviano a Ercolano, il viaggio nei panifici tocca due città che stanno gestendo la crisi tra mille difficoltà. A San Gennarello, quartiere cerniera tra i Comuni di Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, c’è il panificio Vesuvio gestito da Ferdinando Ambrosio.
Rifornisce panetterie, market e salumerie di tutto il territorio vesuviano, ma i forni sono da settimane fermi per le restrizioni. «Abbiamo dimezzato la produzione dopo lo stop ai dolci e alla rosticceria da parte del governo, oggi facciamo soltanto pane. Ho venti dipendenti, venti famiglie da mantenere. – spiega – E oggi posso dire che siamo in difficoltà davvero. Forse è questo l’aspetto che più ci sta penalizzando in questo periodo. Vendere soltanto pane e panini non è una gran cosa». Ma oltre a quello s’aggiunge l’aumento della farina, un’altra mazzata. «E’ vero che c’è stato un aumento dei costi, legato alle importazioni dall’estero delle materie. Dobbiamo stringere i denti e resistere», conclude il panettiere di Ottaviano.
Poi il messaggio che sa di speranza: «Io mi ritengo fortunato perché posso ancora lavorare, tanti imprenditori hanno abbassato la serranda e non si sa se apriranno più. Dobbiamo stringere i denti e chi alza i prezzi dico: pensate alla gente povera che il pane spesso non lo può più comprare». Non è l’unico appello che arriva dalla provincia. Girando intorno al Vesuvio di panifici in difficoltà se ne incontrano tanti. «Ho combattuto la criminalità organizzata, ma lo sciacallaggio venuto fuori in questo periodo di emergenza mi fa più paura. E’ terribile quanto stiamo vivendo ed è impensabile dover aumentare il costo del pane in queste ore così tormentate.
Preferisco, così come i grossisti che fornisco, rimetterci pur di non continuare a umiliare la gente». Anche Sofia Ciriello, una donna forte di 42 anni, da anni in commercio a Ercolano col suo panificio, non s’aspettava di dover fronteggiare una crisi economica così dura. I rappresentanti che vendono farina da almeno dieci giorni le hanno prospettato un terribile aumento dei costi. «Ero già a conoscenza della possibilità di un aumento dei prezzi, che arriverebbero alle stelle, perché i miei rappresentanti mi avevano allarmato da tempo, facendomi recapitare una lettera in cui si elencavano i motivi dietro il possibile rialzo – racconta Sofia -. Ho la testa dura, lo ammetto, e non pensavo si potesse arrivare a tanto. Confesso che se l’aumento dovesse concretizzarsi, sarò costretta alla serrata. Chiuderò il mio forno, perché non avrei il coraggio di comunicare un prezzo maggioritario dei miei prodotti in un clima già così difficile. Purtroppo l’Italia ad oggi ha soltanto il 15 per cento del nostro fabbisogno di grano, è costretta a importare e le conseguenze sono giù sotto gli occhi di tutti».
Sofia ha toccato con mano la disperazione dei suoi clienti. «Mi sono detta che non potevo fare una cosa del genere alla mia gente – aggiunge -. Se tutto questo dovesse durare per un periodo di tempo limitato, sarò disposta a rimetterci. Ma se tutto questo durerà a lungo, non potremmo garantirlo. Non ne abbiamo la forza. Potremmo sopportarlo per un mese, ma non per un periodo di tempo più esteso. Fortunatamente i miei colleghi sono stati solidali e mi hanno rincuorato, per il momento non aumenterà il prezzo del pane. Purtroppo paghiamo scelte passate scellerate del nostro Paese, in quanto oggi la produzione arriva sostanzialmente dall’estero. Rischieremo un’emergenza alimentare se altre nazioni dovessero bloccare le importazioni».
Frenano pasta e olio Assalto anche al lievito
Cambio di passo degli italiani nel fare la spesa dopo 5 settimane dall’inizio della pandemia da Coronavirus. Finisce infatti – spiega il portale Italiani.
Coop – il tempo della dispensa di emergenza ed inizia e si consolida quello di panificatori, pizzaioli e pasticceri con farina e lievito di birra che raggiungono rispettivamente nelle ultime due settimane un +205% di vendita (era +114% nelle prime tre settimane di pandemia) e un +203% (era +117%). Rallentano le vendite di pasta (+14%, cresceva del +53% nelle prime tre), riso (+26%, era 48%) e olio (-8%, era +35% nelle prime tre settimane), alimenti protagonisti per settimane dei carrelli della spesa.
L’analisi, elaborata sul periodo 24 febbraio-23 marzo, registra in media un +11,3% delle vendite, in rallentamento- dicono gli analisti- nelle ultime due settimane. Superstar negli acquisti è la pizza, in particolare la classica margherita, con la mozzarella che realizza +125% (era +58% nelle prime tre settimane).
Seguono le conserve, che seppure accusano una frenata, mettono a segno + 48% nelle ultime due settimane (era +56% nelle prime tre). In crescita le uova, usate anche come materie prime per i preparati da forno, con +58% tra il 16 e il 23 marzo (era +37% nelle prime tre settimane).
Carni bianche e rosse sono intorno al +20% nella totalità del periodo del Coronavirus, ortofrutta al +16%, mentre il pesce è a -8%.
Torna l’interesse per gli sfizi: le creme spalmabili (come la Nutella) registrano nelle ultime due settimane un +46% (era +10% nelle prime tre), il vino è a +31% nelle ultime due settimane (era intorno al +1% nelle prime tre), gli aperitivi il +13% (era +5%), la birra +9% (+8% nelle prime tre).