Torre del Greco. Tredici morti e 79 contagiati in un mese. E’ il bollettino della guerra al coronavirus a Torre del Greco, la «Codogno del Sud» com’è stata ribattezzata dalla stampa nazionale. Perché, in effetti, il virus arrivato dalla Cina sembra avere messo radici all’ombra del Vesuvio: la comunità – circa 84.000 abitanti, distribuiti su un territorio di 30 chilometri quadrati – guidata dal sindaco Giovanni Palomba ha pagato, fino a oggi, un prezzo altissimo all’emergenza sanitaria scoppiata in tutta Italia. Basta guardare i dati diffusi ogni giorno dalla protezione civile: il 7% dei decessi legati al Covid-19 di tutta la Campania è stato registrato nella città del corallo. Eppure lo storico figlioccio della Dc a capo di palazzo Baronale – così come il governatore-sceriffo Vincenzo De Luca – non ha ritenuto opportuno adottare provvedimenti ulteriormente restrittivi rispetto alle linee-guida del governo centrale.
Niente zona rossa
A partire dal 3 marzo – il giorno del primo contagio, una maestra dell’istituto comprensivo D’Assisi-Don Bosco – il «nemico invisibile» capace di scatenare terrore e lutti si è lentamente diffuso su tutto il territorio cittadino. Partendo dalla scuola-focolaio, il Covid-19 si è allargato alla periferia – devastato il quartiere di Santa Maria la Bruna, legato alla parrocchia di San Vincenzo a Postiglione – e poi si è diffuso a macchia di leopardo. Senza risparmiare neanche il personale medico-infermieristico dell’ospedale Maresca e il comando di polizia municipale. Una escalation di casi positivi capace di convincere una larga fetta della popolazione a invocare la «chiusura totale» della città per limitare la diffusione dell’infezione: una zona rossa sul modello di Ariano Irpino – il paesino di 22.000 abitanti della provincia di Avellino «blindato» direttamente dal governatore Vincenzo De Luca – in modo da frenare gli incivili della «spesa tutti i giorni» e non solo. Un appello rimasto, a dispetto dell’ecatombe di morti, inascoltato.
Il bluff delle «piazzette»
L’unico accorgimento adottato dal primo cittadino è stata la chiusura delle aree mercato. Un’ordinanza firmata per limitare il pericolo di assembramenti all’interno delle storiche «piazzette» di via Falanga e largo Teatro, naufragata già il giorno dell’entrata in vigore. Quando ignoti devastarono le transenne sistemate davanti a vari punti d’accesso e le forze dell’ordine non riuscirono a contenere l’afflusso di massaie e clienti. Con il passare dei giorni, poi, il «lassismo» è diventato la regola. I controlli delle forze dell’ordine non riescono a coprire i «punti caldi» del territorio, così ieri mattina centinaia di persone affollavano disinvoltamente il mercato, come testimoniato da foto e video rilanciati attraverso i social: «Noi facciamo sacrifici e restiamo a casa – il messaggio inviato al sindaco -. Ma se nessuno controlla gli incivili, non usciremo mai dal tunnel». Parole fino a oggi rimbalzate come un muro di gomma sul primo cittadino, rintanato da 30 giorni all’interno del centro operativo comunale istituito in municipio. «Non posso chiudere la città, decisioni del genere spettano alle autorità sovracomunali», ripete come un disco rotto Giovanni Palomba. Ma la «Codogno del Sud» sembra allo stremo, schiacciata tra il martello della paura di nuovi contagi e l’incudine di una parte della popolazione pronta a sfidare i divieti e il coronavirus per un’ora d’aria in strada. Una sfida costata, in un mese, 13 lutti e una valanga di contagi senza eguali in tutta la provincia di Napoli.
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