Non è un liberi tutti o una “grazia” per i vecchi boss malandati reclusi al 41 bis, come qualche politico ha provato ad etichettare quella decisione del tribunale di Sorveglianza di Milano cavalcando l’onda del dissenso. Ma un provvedimento ritenuto comunque «rischioso», un segnale di debolezza dello Stato che «sembra essersi piegato alle logiche delle rivolte in carcere», come ripete Antonino Di Matteo, componente del Consiglio Superiore della Magistratura e magistrato Antimafia.
Il caso Bonura
La notizia che ha messo in secondo piano, per qualche ora, l’emergenza sanitaria legata al Covid è arrivata dalla Lombardia, per la precisione dal carcere di Milano Opera. Francesco Bonura, 78 anni, definito da Tommaso Buscetta «un mafioso valoroso» e ritenuto uno dei fidi scudieri del super boss Bernardo Provenzano, ha ottenuto gli arresti domiciliari. E’ uscito dal 41bis per tornare a casa. La notizia ha fatto il giro del mondo, scatenando una marea di polemiche, anche politiche. Tutto ruota attorno a una circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che – secondo i giornalisti de “L’Espresso” – avrebbe aperto alle scarcerazioni per i detenuti ultrasettantenni affetti da patologie gravi. Bonura, condannato a 18 anni per associazione mafiosa proprio in virtù di quelle linee guida avrebbe ottenuto il ritorno a casa, in Sicilia. Il suo avvocato, però, ha specificato che al detenuto restavano pochi mesi di condanna da scontare a dispetto dell’elevata pericolosità sociale che lo aveva spinto al carcere duro. E che la decisione è stata assunta dal giudice di sorveglianza sulla scorta di elementi che nulla hanno a che vedere con l’emergenza Covid-19. Nella giornata di ieri, intanto, il Dap ha smentito in maniera categorica di aver diffuso circolari legate alle possibili scarcerazioni di detenuti reclusi al carcere duro per contenere il possibile contagio in carcere. «Quella inviata il 21 marzo scorso agli istituti penitenziari – si legge in una nota ufficiale – è una richiesta con la quale, vista l’emergenza sanitaria in corso, si invitava a fornire all’autorità giudiziaria i nomi dei detenuti affetti da determinate patologie e con più di 70 anni di età».
Furia Antimafia
Giustificazioni che non hanno convinto tutti. Il provvedimento, secondo alcuni autorevoli magistrati, potrebbe aprire una crepa per una delle misure chiave della lotta alle mafie. Lo gridano a gran voce Catello Maresca, il pm che ha messo in ginocchio il clan dei Casalesi, e Antonino Di Matteo, il magistrato che ha indagato, tra l’altro, sulla trattativa Stato-Mafia legata alle stragi degli anni ‘90. Di Matteo parla di una «ulteriore grave offesa alla memoria delle vittime e all’impegno quotidiano di tanti umili servitori dello Stato. Lo Stato sembra aver dimenticato e archiviato per sempre la stagione delle stragi e della trattativa Stato- mafia». E ancora: «Lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte». Ancora più duro Catello Maresca che in una lunga riflessione sul sito web “Juorno” parla di «fuga dei mafiosi nelle loro belle case» e accusa il Dap di aver emanato una circolare che «va modificata immediatamente». Cutolo e GiontaIn tutta Italia sono 74 i boss ultrasettantenni che potrebbero “beneficiare” di quel controverso provvedimento che ha alimentato un infuocato dibattito. E tra questi, oltre a Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, ci sono anche alcuni vecchi boss di “casa nostra”. A cominciare dal più “importante” di tutti: il padrino della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo. ‘O professore di Ottaviano, recentemente trasferito in ospedale per le sue condizioni di salute precarie e poi tornato in carcere, risponde in pratica a quasi tutti i requisiti contenuti in quella direttiva che secondo alcuni rappresenterebbe un assist alle organizzazioni criminali. Cutolo è malato, al punto che le sue condizioni erano state ritenute preoccupanti quando venne trasferito all’ospedale di Parma qualche mese fa, ed è un ultrasettantenne: di anni ne ha 78, di cui buona parte vissuti dietro le sbarre a scontare una dozzina di ergastoli. Non rientra in quell’elenco ma è sulla soglia dei 70 anni anche un altro super padrino della camorra vesuviana. Si tratta di Valentino Gionta, il boss di Torre Annunziata che ha guidato le fila di una delle organizzazioni criminali più potenti e sanguinarie della camorra campana. Proprio qualche mese fa don Valentino aveva scritto un ricorso inviato in Cassazione per chiedere la revoca del provvedimento di proroga del carcere duro. Un ricorso nel quale il capoclan parla di un regime detentivo simile a «una tortura», come si legge nelle motivazioni della sentenza di rigetto firmata dalla Suprema Corte il 14 marzo del 2019.