Carmine Giudici*
Rischiamo di perderci l’eco, il ritorno benefico e incalzante di questa storia. Non solo ora, non solo nel silenzio forzato di questo tempo imprevedibile, dannatamente inquietante, ma da quando alla Verità è venuta la pazza idea di venire ad abitare in mezzo noi. Quello che oggi fa la differenza è soltanto l’eco… Un’eco violenta e interminabile. Ricordo che la prima volta che dormii nella canonica della nuova parrocchia in cui ero stato mandato come parroco, in un enorme stanzone vuoto con il soffitto a volte, mi svegliai di colpo nel cuore della notte, spaventato perché avevo sentito qualcuno russare…ero io, ed ero solo. Fino a quella notte non mi ero mai accorto dell’eco del mio rumoreggiare notturno. Il silenzio insolito di quel posto nuovo e sconosciuto, mi ha messo allora in una condizione speculare rispetto a me stesso alla quale non ero preparato né predisposto. Ecco, adesso – in un vuoto dagli spazi sconfinati e sconosciuti – sentiamo in maniera più ridondante l’eco del nostro inutile rumoreggiare. Certo, la paura ci prende e le ansie da prestazione pure…Perciò ci diamo da fare, aumentando il rumore, contaminando il silenzio, semplicemente perché siamo spaventati, dell’oggi come del domani, ma ci vergogniamo di ammetterlo.
Come ci imbarazza ammettere che abbiamo tante domande e poche risposte certe, a tutti i livelli, e una sfida nuova da affrontare. Scrivevo a un confratello in questi giorni: “penso a noi preti, “padri” abusivi e poco credibili, soprattutto in questa stagione in cui la nostra fantasia si imbizzarrisce perché nun ce firamm ‘e stà! Proviamo come dei disperati a connetterci in mille modi anche follemente stravaganti con i nostri “figli”, tiriamo fuori statue e simulacri, apriamo scarabattole di santi, ostentiamo crocifissi miracolosi, danziamo balletti impacciati, aspergiamo con acqua benedetta non si capisce bene chi e cosa, accendiamo rumorosamente casse amplificate e megafoni dai tetti e dai campanili, corriamo imbarazzati nel bel mezzo di una liturgia nelle nostre chiese vuote, recitiamo preghiere e rosari intrisi di calmanti e di ansiolitici, mostriamo le nostre facce (poco) rassicuranti sui social, io stesso preso dalla smania di postare un mio messaggio social ogni mattina presumendo che la cosa interessi a qualcuno… Dimenticando di connetterci con la realtà, con noi stessi e il nostro ritrovarci improvvisamente spogliati di tutto, nudi, costretti a fare i conti con una novità imprevista e destabilizzante. Siamo figli, e non padri…lo capiremo in tempo?”Lo capiremo in tempo?
Voglio sperare di sì. Forse non noi, ma chi verrà dopo di noi sarà chiamato a fare l’ostetrico perché la fecondità dolorosa di questo tempo di gestazione sia aiutata a partorire novità, non suggestioni ma “cose nuove” (Is 43,19) nella vita delle nostre comunità, anche delle nostre comunità ecclesiali. E’ vero, il silenzio, questo silenzio rarissimo, inquietante e pregiato, potrebbe essere un grembo caldissimo e fertile dove ripensarci e ritrovarci. Prima ancora di sigillare un patto nuovo con la storia, provando a stare in ascolto…Stare. Ai tanti che mi chiedono in questi giorni “come stai?” rispondo sempre “sto!”. C’avimma stà! E non perchè non possiamo fare diversamente ma semplicemente perché dovremmo fiutarne la “convenienza”, finanche la “comodità”.
Ce ne rendiamo conto? Starsene un pò tranquilli, finalmente con un libro tra le mani senza aver fretta di terminare un capitolo prima di dover scappare da qualche parte, non presi alla gola dalla preparazione di questa o quella celebrazione, di questo o quell’incontro, liberati anche dall’assedio dei tante occupazioni spesso inutili e superflue che per i motivi più disparati e disperati ogni giorno ci braccano senza pietà.
Ma soprattuto provando a stare come il discepolo amato del Vangelo sotto la croce, afferrati fin dentro la cima dei nostri capelli da quello che sta accadendo, ai piedi di questo mistero doloroso che più che mietere morti falcia la nostra fragilità. Stare senza distrarsi, “cingendoci i fianchi dell’intelligenza”, per raccogliere, provare a capire e reagire senza fare e farci inutilmente del male…In ascolto. Di cosa? E di chi? Personalmente mi sto dedicando un pò all’ascolto di me stesso, sicuro che il buon Dio non se la prenderà a male. In ascolto di questo ritorno di voce…Provando ad avvicinarci non senza paura alla parte più intima e fragile di noi stessi, quella spesso taciuta, troppe volte zittita e mortificata da prestazioni che non ci erano richieste e non erano necessarie.
Mi ascolto e mi scopro. Ritrovando anche doni inaspettati e precipitati nell’oblìo da tempo immemorabile. Certo, la tentazione di ascoltare altro – soprattutto quando non si è abituati a tanto silenzio – è sempre accovacciata fuori la porta di questo santuario della nostra intimità, purtroppo accessibile a tutti, tanto è squarciato il suo accesso senza porte né chiavistelli. Ma noi resistiamo…e stiamo…e ascoltiamo…anche l’eco di questa storia!
(*Parroco della Cattedrale di Sorrento)