Una falsa ripartenza in Campania e soprattutto in provincia di Napoli. Nonostante il via libera condizionato del governatore Vincenzo De Luca, molti bar, ristoranti, pizzerie e pasticcerie resteranno chiusi. Troppi i paletti fissati dalla Regione che rischiano di generare molti costi e pochi guadagni per le imprese, che già sono con l’acqua alla gola per i due mesi di stop forzato a causa dell’emergenza Coronavirus. «Otto locali su dieci non riapriranno», tuona il presidente di Confcommercio Napoli, Pasquale Russo. L’associazione che rappresenta tutti i commercianti del capoluogo e della provincia hanno chiesto di «interloquire con il governatore De Luca, perché questo via libera per il delivery ha poco senso».
Russo, perché è così critico?
«Prima di cominciare il discorso dobbiamo intenderci bene: fare solo le consegne non significa lavorare».
Beh, è una ripartenza?
«Ecco, un modo graduale di tornare a una normalità dalla quale siamo lontanissimi. Si riaccende qualche macchina, si permette forse a qualche dipendente di tornare a lavoro. Ma non è una soluzione al problema economico».
Questo è evidente, ma perché tanti imprenditori decidono di non riaprire?
«Il provvedimento della Regione ha tante criticità».
Tipo?
«Guardi, la cosa più evidente è quella dell’obbligo del certificato medico anche per i dipendenti: su quale presupposto un medico di base, che non ha la possibilità di fare un tampone, può certificare che una persona non ha contratto il virus e non è un soggetto a rischio? Molti si stanno rifiutando».
E’ l’unica criticità?
«No, ce ne sono altre di carattere organizzativo e commerciale che impediscono la riapertura. Cominciando dagli orari di apertura: aprire una pizzeria alle 16 ha poco senso, imporre la chiusura alle 22 significa penalizzare l’attività. A molti non conviene».
C’è anche polemica sulla possibilità di garantire l’asporto.
«In molte Regioni lo stanno consentendo, in Campania no. Non siamo d’accordo, ma tant’è. L’importante è capire che la differenza è sostanziale: ad esempio, le pasticcerie che fanno consegne a domicilio sono poche, la stragrande maggioranza non è organizzata per questo servizio e quindi molte hanno deciso di non riaprire».
Alcuni imprenditori pensano che riaprire con queste modalità serva soltanto allo Stato per scaricare un po’ di costi rispetto alla cassa integrazione.
«Guardi, su questo non sono d’accordo. Nessuno vieta a un imprenditore che non riesce a reggere i costi, in questo periodo, di continuare a fare ricorso alla cassa integrazione per i suoi dipendenti. Ci sono aziende che non hanno mai chiuso eppure hanno utilizzato questo strumento perché penalizzati dall’emergenza per il Coronavirus».
Con i paletti previsti per il distanziamento sociale all’interno delle attività, c’è però il rischio che molti saranno costretti a licenziare i loro dipendenti.
«Purtroppo sì, ma ci auguriamo che vengano adottate delle contromisure adeguate per consentire agli imprenditori di andare avanti senza tagliare la forza lavoro».
Ad esempio?
«Guardi nei giorni scorsi abbiamo affrontato la questione, a livello nazionale, sia con il sindaco di Milano che di Napoli. Gliela faccio breve: si sta ragionando sull’ipotesi di offrire alle attività la possibilità di allargarsi sulla strada. In pratica si ruberebbe spazio alle auto per darlo ai locali».
Una proposta fattibile?
«Sicuramente può essere una strada interessante, se consideriamo l’opportunità di salvare imprese e posti di lavoro. Poi è chiaro che ogni Comune dovrebbe verificare la propria capacità di supportarla in base all’organizzazione della mobilità interna».
Si ragiona di futuro, ma il presente delle imprese com’è? Di aiuti non se ne sono visti molti.
«Se guardiamo alla Regione Campania, sono stati messi sul tavolo 900 milioni di euro per un piano sociale che non è rivolto alle aziende. Il bonus da 2mila euro, per chi ha un fatturato di centomila euro, non incide per nulla».
Ci sono difficoltà anche per il decreto liquidità del Governo?
«Per ora è una misura inefficace perché mancano i decreti attuativi per i prestiti superiori ai 25mila euro, non c’è ancora il regolamento che disciplina il rapporto tra Stato e Banche. La garanzia sui prestiti può essere positiva, ma la burocrazia rischia di renderla vana».
E per i prestiti da 25mila euro come siamo messi? «Per ora stentano a decollare, perché i documenti da produrre restano tanti per un’impresa. Poi mi consenta di dire una cosa…».
Prego.
«Non bisogna dimenticare che si tratta di un debito che contrae un’impresa, non di un sussidio dello Stato».
Quali potrebbero essere gli aiuti concreti?
«Allungare i tempi della cassa integrazione; varare una moratoria sulle tasse almeno fino a fine anno; magari, come fanno altre Nazioni, garantire un sussidio al reddito delle imprese. E infine – cosa più importante – non prevedere prescrizioni inapplicabili per la riapertura».