Bruno De Stefano*
Tra i numerosi nervi scoperti sfiorati dal Coronavirus, ce n’è uno che riguarda lo stato di salute della lotta alle mafie. La concessione degli arresti domiciliari ad alcuni boss ha suscitato reazioni sdegnate e in larga parte condivisibili. Le ferite lasciate da decenni di omicidi e stragi non si sono ancora rimarginate e soprattutto chi vive al Sud fa oggettivamente fatica a pensare che si possano fare “sconti” a chi ha seminato morte e sconvolto gli equilibri sociali ed economici di ampie zone del nostro Paese. Non voglio addentrarmi nelle singole decisioni – immagino difficili – di chi ha concesso o deve concedere i domiciliari a criminali conclamati alle prese con gravi problemi di salute; piuttosto voglio provare ad osservare la vicenda da un’altra prospettiva prendendo spunto dall’intervista che il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho ha concesso qualche giorno fa al quotidiano “Repubblica”. Cafiero de Raho ha detto: «Per i mafiosi andare ai domiciliari è come essere liberi. Rientrati a casa sono in grado di riprendersi quello che lo Stato con grande fatica era riuscito loro a togliere: potere economico, considerazione sociale. Riattiverebbero in un attimo tutti quei traffici criminali che il lavoro delle forze di polizia, della magistratura, aveva interrotto».
L’autorevolezza della fonte – e la sua ricca e pregressa attività professionale – è tale da non dubitare sulla concreta possibilità che i boss tornati ai domiciliari possano riprendere i vecchi traffici. Ma le parole di Cafiero de Raho suggeriscono un’amara considerazione: è cioè – e uso le parole del Procuratore – che finora lo Stato ha solo “interrotto” i traffici criminali ma non li ha ancora eliminati, ed è dunque – in sostanza – lontano dal vincere la guerra alle mafie. Perché se lo Stato ha paura che un criminale oramai anziano, malato e reduce da svariati anni di carcere duro possa ancora rappresentare un pericolo, allora vuol dire che abbiamo vinto solo qualche battaglia. Perché se un boss sfibrato dalla detenzione torna a casa ed è ancora pericoloso, vuol dire che fuori – cioè nelle nostre strade – i clan sono ancora in ottima salute e ci mettono un “attimo” – come ha sostenuto Cafiero de Raho – a ritornare in attività. Non solo: se un padrino dalla salute pesante- mente malconcia dopo qualche decennio di detenzione severissima gode ancora di un “potere economico e considerazione sociale”, vuol dire che siamo di fronte a due sconfitte: una sul piano repressivo, l’altra sul piano culturale. E quindi non bisogna stupirsi se in tanti, soprattutto in questa fase così complicata, scelgano di affidarsi non allo Stato ma all’Altro Stato.
(*Giornalista e scrittore)