Michele Vitiello*
Gli uomini coraggiosi non sono quelli che non provano paura, ma quelli che decidono di affrontarla. È necessario perciò unire le forze per programmare la gestione del domani. Dobbiamo rinunciare a quella tradizione della selezione familistica, che premia la fedeltà più che il merito. Dobbiamo rinunciare al palcoscenico dell’individualismo e lavorare in rete, con soluzioni che offrono meno visibilità ma maggiore efficacia. È compito della politica non solo rappresentare gli interessi, ma indicare una direzione verso la quale questi interessi possono svilupparsi. Bisogna mediare, tra la tecnica degli studiosi e l’esperienza dei cittadini, per modellare quella sintesi che può trascinarci fuori dal guado.
Tutto ciò è in contrasto con le nomine di commissioni, sub-comissioni e task force. La politica deve ritrovare il coraggio delle decisioni, utilizzando gli strumenti democratici che i padri costituenti ci hanno donato. Mi pare invece che ci abbia rinunciato, delegando tutto ai soli tecnici. Ha ceduto nel frattempo a iniziative che hanno solleticato le emozioni dei cittadini, ma che poco hanno prodotto, se non per il loro consenso. Nel frattempo lo Stato non immette liquidità, fa da garanzia al credito, ma per accedervi un piccolo imprenditore deve compilare 19 moduli. E attenzione: ben venga l’unità istituzionale. Ma sono ben accette quelle critiche che aiutino a correggere il tiro. Questa libertà separa infatti una democrazia da una dittatura. Questa volta non ci saranno Paesi alleati a salvarci. Oggi l’Unione Europea è la nostra unica ancora di salvezza. Certo, sarebbe stato preferibile trovarla più prontamente collaborativa, ma per questo bisogna lavorare di più e meglio, perché le resistenze non si vincono stando fermi o addirittura remando nella direzione opposta. In Italia invece molti aiuti sono in ritardo, e alcuni ricadono su categorie iper-tutelate, lasciandone altre completamente scoperte. Se non fosse stato per il volontariato non avremmo retto così. Nel frattempo le acque sono tornate torbide, smentendo quel pensiero naïf che ci voleva migliori per inerzia, dopo la fase uno. C’è bisogno di rimodulare una convivenza equilibrata con la natura, rinunciando alle esagerazioni che ammazzavano noi ed il nostro ambiente. Come tutte le crisi anche questa perció può essere un’enorme opportunità, perché si può e si deve investire sulla conversione dei sistemi verso modelli sostenibili. All’inizio siamo stati costretti a farlo, ma abbiamo visto che è praticabile lo smartworking, la didattica a distanza ed evitare lo spreco di risorse.
Per favorire questi processi peró bisogna in parallelo offrire ai cittadini le strutture che favoriscano un cambiamento della visione del mondo, in un’Italia frammentata dal digital divide e da fortissime carenze infrastrutturali. É emerso prepotente il dato per il quale il sud, infine, non può vivere di solo turismo. La globalizzazione dei mercati e degli spostamenti rende globali anche i pericoli. La risposta non è nella chiusura, ma nella duttilità e nella capacità di riadattarsi. Serve perció l’affiancamento di un’industria alternativa, creativa e tecno-scientifica. Troppi ne ho visti in questi anni lasciare il vecchio lavoro per aprire B&B, mentre migliaia di cervelli sono costretti a lasciare il Paese, perché non trovano occupazione per quello che hanno studiato. Nonostante ciò, la resa non ci è consentita. Non bisogna smettere di investire in promozione, anticipando le scelte di mercato. Allo stesso tempo il pubblico deve fare la sua parte. Non possiamo più consentire che le risorse vengano sprecate con erogazioni a pioggia, ma devono essere investite per costruire un ambiente favorevole a chi produce, fa impresa e offre lavoro. Oggi il mondo non sarebbe quello che è se non avesse vissuto il medioevo, la peste e poi il Rinascimento. Perché se é vero che dalla sofferenza possono nascere stimoli positivi, non è mai successo che da pensieri negativi potesse svilupparsi qualcosa di buono.
(*Coordinatore Fi giovani Campania)