«La stampa sul nostro territorio, anche dal punto di vista scientifico, ha avuto un ruolo fondamentale nella lotta al Coronavirus». Savio Marziani, direttore del Covid Hospital di Boscotrecase, oggi può guardare i reparti vuoti da pazienti infetti dopo mesi intensi passati a garantire la doverosa assistenza ai contagiati che arrivavano da ogni angolo della provincia di Napoli. «Per noi l’emergenza non è finita – racconta – Ci informiamo e aggiorniamo continuamente su quanto accade a livello locale, nazionale e internazionale. Abbiamo un piano della struttura completamente riqualificato durante il periodo più duro del Covid, che oggi potremmo riattivare in 24-36 ore in caso di ritorno dell’emergenza».
Direttore Marziani, cosa ricorda del 22 febbraio, quando fu accertato il primo caso di Covid in Italia?
«Era un momento complesso. Fino a quel punto c’era uno stato di pre-allerta, ma le notizie filtravano solo attraverso gli organi di stampa e la televisione. Dai canali ufficiali si sapeva ben poco, si discuteva in modo scientifico e ognuno iniziava a prendere le prime precauzioni».
Qual è stata la prima difficoltà che avete dovuto affrontare?
«La mancanza di linee guida, di terapie, purtroppo non sapevamo cosa fosse questo virus. Per fortuna la Regione Campania ci ha guidato egregiamente trasmettendo i dati. E appena abbiamo compreso la necessità di ampliare la Rianimazione ci siamo subito attivati per allestire nuovi posti, anche in sub-intensiva. C’è una cosa che ci rende orgogliosi…».
Quale?
«L’Asl Napoli 3 Sud forse è stata proprio la prima in Italia a dedicare una struttura ai pazienti Covid. Una pratica che poi s’è rivelata una necessità anche altrove. E’ stata una scelta azzeccata, idonea e indispensabile per non essere costretti a curare le persone sui pavimenti». L’avvio non è stato semplice. «A Boscotrecase ci siamo ritrovati da non avere una Rianimazione ad averne una con 12 posti a disposizione occupati da altrettanti pazienti intubati, nel primo giorno di apertura. E’ accaduto tutto in 5-6 giorni e trasformare un ospedale in un tempo così breve non è mai una cosa semplice. Purtroppo, soprattutto all’inizio, ci sono stati dei decessi di persone arrivate già in condizioni critiche. Ma pian piano siamo diventati un punto di riferimento per l’intera regione».
C’è stato un momento della svolta?
«Le prime cure sperimentali sono state importanti, perché ci hanno permesso di garantire oltre che l’accoglienza e l’assistenza, anche la terapia. Quando abbiamo cominciato ad applicare il protocollo del dottor Ascierto ci siamo resi conto che c’erano risposte positive e questo ci ha dato fiducia, perché all’inizio si tentava per lo più di limitare i danni con antibiotici e terapia respiratoria».
Mentre dentro gli ospedali si lottava contro il virus, fuori la gente era costretta a rispettare il lockdown. Come avete vissuto quel periodo?
«All’interno abbiamo avuto sei psicologi per garantire l’assistenza ai nostri pazienti e dipendenti. Per mesi siamo stati isolati dalle nostre famiglie e chi non aveva una casa alternativa è rimasto chiuso in ospedale anche per un mese intero. Allo stesso tempo però avevamo il dovere di informare su cosa stesse accadendo all’interno e informarci su quanto accadeva fuori».
E’ per questo che ritiene che la stampa sia stata fondamentale nella lotta al virus?
«Lo hanno sottolineato tutte le alte cariche dello Stato ed effettivamente è stato così. Per noi la stampa è stata fondamentale per comunicare al nostro territorio le problematiche da affrontare, informare i cittadini sulle attività messe in campo nel periodo dell’emergenza e anche comunicare i risultati raggiunti. Sapere di avere interlocutori che non ci hanno mai lasciati soli nella risoluzione delle criticità – e mi riferisco anche alla Regione e alle forze dell’ordine che ci hanno testimoniato la loro vicinanza con quella “serenata” che ci ha commosso – ha aiutato anche l’approccio psicologico degli operatori sanitari».
Secondo lei è importante un libro che racconti come la comunità ha vissuto il Covid 19?
«Può essere fondamentale, per due motivi. Il primo è che aiuta a non dimenticare. Il secondo è che continui a sensibilizzare la gente: non possiamo tornare a vivere con leggerezza, bisogna tenere gli occhi aperti».