Le dichiarazioni della turista inglese che denunciò lo stupro sono «credibili» e forniscono «un quadro granitico». La donna venne trattata come una «preda» dai cinque ex dipendenti del Mar hotel Alimuri di Meta a cui poteva anche essere contestata l’ipotesi di spaccio di droga seppur non siano stati rinvenuti stupefacenti. Sono le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Torre Annunziata, a dicembre, ha condannato Davide Gennaro Gargiulo (nove anni) Antonino Miniero (otto), Fabio De Virgilio (otto), Ciro Francesco D’Antonio (sette) e Raffaele Regio (quattro). Per i magistrati della prima sezione penale (presidente Francesco Todisco, a latere Riccardo Sena ed Emanuela Cozzitorto) il racconto della donna è sostenuto da riscontri investigativi e dichiarazioni degli imputati.
I magistrati condividono la tesi della Procura di Torre Annunziata (il caso fu seguito dal sostituto procuratore Mariangela Magariello), che sostiene che la donna sia stata abusata dopo che le furono serviti drink contenenti droghe. Lo stupro si è consumato in due momenti. Prima con Miniero e De Virgilio. Poi nell’alloggio dei dipendenti con Gargiulo accusato di aver «consegnato» la donna a D’Antonio e Regio, il quale incassa la condanna più lieve – quattro anni – perché non ha avuto materialmente rapporti (si trovava «nei luoghi in cui la donna era abusata»). Anna (nome di fantasia), per i giudici, «ha reso dichiarazioni coerenti e lineari», «ha descritto la sua partecipazione ai rapporti ai quali non riusciva sottrarsi sentendosi come in un film». D’altronde, Gargiulo e D’Antonio fanno sesso con la donna «benché la stessa sulla scorta di quanto dichiarato dagli imputati mostrasse gravi segni di turbamento e avesse una crisi di pianto. D’Antonio, Regio e Gargiulo erano consapevoli dello stato di alterazione e minorazione psichica della persona offesa». Per la difesa i rapporti erano consensuali, non fu usata droga (la vittima non ne parla) e gli esami di capelli e urine confermano solo l’assunzione di alcolici. Non solo, vengono addensati sospetti sulla personalità della donna. Ma «una denuncia premeditata» di Anna per i giudici è illogica. Innanzitutto perché non condividono le tesi dei legali degli imputati i quali muovono dubbi sulla versione della donna che è autrice (con uno pseudonimo) di un romanzo che tratta di abusi sessuali e si dichiara vittima di maltrattamenti da parte del marito. Gli imputati, a più riprese, sia nelle indagini sia nel dibattimento, si contraddicono. E, per il Tribunale, se ci fosse stato un «complotto» di una donna «con personalità deviata» sarebbe stato comprensibile «farsi visitare in Italia» subito coinvolgendo la figlia. Cosa che non avvenne. La difesa basava la richiesta di assoluzione anche sulle conclusioni della tossicologa Sabina Strano Rossi, nominata dal Tribunale, che rinviene il metabolita dell’etanolo, non sostanze psicotrope. Per i giudici, che richiamano l’esito negativo sul campione dei capelli, si tratta di un dato «che non va valutato da solo», anche perché dalle analisi si evidenzia che la donna – fuori dall’arco temporale “incriminato” – non ha mai assunto benzodiazepine. E il test negativo delle urine? Un risultato «neutro».
I giudici sono convinti dell’uso di «droga dello stupro», di cui gli imputati «ne avevano acquistato una dose da canali illeciti», seppur da indagini e testimonianze non ci siano elementi che lo sostengono. «Non è necessario che la prova scientifica costituisca di per sé sola autonoma prova del fatto della somministrazione di sostanze droganti» scrivono i magistrati. Le condanne si legano a «ferma presenza nei capelli della donna di tracce di sostanze incapacitanti in epoca compatibile con quella dello stupro», «dichiarazioni coerenti e spontanee» di Anna «confermate nel loro nucleo fondamentale dall’esame degli imputati» e contraddizioni dei ragazzi, oltre a foto di quella notte e il referto medico.