*Felice Bellona
Nel quarantesimo anniversario della strage più grave nel nostro Paese in tempo di pace, c’è un’immagine che descrive più di ogni altra la tragedia. Ritrae l’orologio affisso al lato est della facciata della Stazione ferroviaria di Bologna, dopo il terribile scoppio nella sala di aspetto della seconda classe. Il quadrante spaccato richiama l’eco, le lancette puntate sulle 10,25 fissano il tempo nell’attimo esatto in cui l’ordigno esplose. L’immagine è sempre viva, perché l’orologio fermo è ancora lì con il suo carico di testimonianza a rappresentare, più delle lapidi e del pilastro dilaniato, la continuità della memoria.Impone a chi per pochi attimi ne osservi le lancette di dedicarsi al ricordo delle ottantacinque vittime e dei duecento feriti. E così il momento è anche l’occasione per riflettere sulla strage. A differenza della maggior parte delle altre occorse dal 1969, Bologna ha dei colpevoli, esecutori e depistatori: i primi sono i neofascisti GiuseppeValerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; Gilberto Cavallini è stato condannato in primo grado all’ergastolo nel gennaio scorso,2per aver fornito loro il supporto logistico. Per aver depistato le indagini furono condannati il capo della Loggia massonica Propaganda Due (P2), il defunto Licio Gelli, e gli uomini del servizio segreto militare, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte.
Di recente, la Procura generale diBologna ha chiesto il rinvio a giudizio per PaoloBellini, neofascista e criminale tutto fare, indiziandolo dell’esecuzione del delitto in concorso, da una parte, con i terroristi condannati in via definitiva, dall’altra, quali mandanti, con vari personaggi, tutti morti, della lunga stagione dei misteri (uno su tutti: Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni) e con lo stesso Gelli. Se la richiesta non sorprende, perché i nomi hanno già fatto capolino nelle indagini passate, la novità è rappresentata dall’imputazione del mandato stragista. Risponde al convincimento dei magistrati secondo il quale la strage alla Stazione rientrerebbe nella strategia della tensione, vale adire nel disegno eversivo che tenne sotto scacco il Paese dal 1969 al 1974 e di cui Bologna sarebbe stata l’appendice finale. Non conosco gli atti per esprimere un giudizio, mi sento, tuttavia, di condividere l’accusa ma non il contesto storico nel quale inscriverla.
Mi spiego: è credibile che Licio Gelli abbia ideato e finanziato la strage. Mi risulta difficile, però, inquadrare l’atto nel panorama della strategia stragista degli anni settanta, perché l’Italia del 1980 era profondamente diversa. Aveva ormai alle spalle sia le pulsioni reazionarie, più o meno istigate dagli ambienti vicini ai desiderata d’oltre oceano, sia la stagione della solidarietà nazionale, tramontata con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. In questo contesto, dunque, spingere ancora per il colpo di stato militare (perché questo sarebbe stato lo scopo della strage, altrimenti inspiegabile) non avrebbe raccolto consensi da nessuna parte. D’altronde, non è neanche detto che l’obiettivo stragista del terribile quinquennio fosse il capovolgimento istituzionale. Ma, restando a Bologna, mutati i tempi, pare poco credibile che si organizzò l‘eccidio per arrivare al golpe. Perciò, secondo alcuni, si potrebbe dar credito al grido di innocenza di Fioravanti&co, perché un crimine di tale portata non sarebbe stato nelle corde degli esponenti del c.d. spontaneismo armato, i quali, per avere sempre rivendicato le proprie azioni, si professavano estranei all’ambiente stragista.
E’anche vero, però, come scrissero i giudici del1988, che una cosa come quella di Bologna non si rivendica. Ma non è questo il problema, poiché le sentenze ci sono e vanno rispettate. Il punto è che, ragionando sulla capacità dell’ultima inchiesta di individuare i mandanti e i motivi dell’azione, mi viene da ricordare, invece, la non sconfitta plausibilità di altre ipotesi investigative.Tutte, va sottolineato, scandagliate senza successo dalle indagini degli anni scorsi, ma capaci di suscitare interesse nell’ambito di una speculazione squisitamente scientifica, tenuto conto della collocazione geopolitica dell’Italia nell’area mediterranea e di un anno (1980)fortemente carico di tensioni internazionali. Le congetture – che guardano al terrorismo mediorientale, con la Libia di Mu‘ammar Gheddafi in prima linea dopo la vicenda di Ustica del 27 giugno, o a quello di Ilich Ramirez Sanchez, alias Carlos “lo sciacallo”, mercenario di lusso al soldo del terrore mondiale – tuttavia, non intaccano le responsabilità acclarate. D’altraparte, l’analisi storica non è mai fine a se stessa, perché contribuisce a tenere viva l’attenzione su un fatto che necessita ancora di una chiara e definitiva spiegazione, dovuta al ricordo delle vittime e ai loro familiari, tenacemente impegnati nella costante ricerca della verità. Ecco, quindi, tornare l’immagine dell’orologio con le lancette ferme alle 10,25 che raccontano il tempo sospeso ma non passato, poiché solo considerando viva la memoria della strage del due agosto si rafforza lo spirito democratico del Paese.
*Avvocato