Decine di imprese stritolate dal racket. Estorsioni su lavori privati e cantieri edili. Ma anche sulle transazioni immobiliari, sulla vendita di hotel e ristoranti. E ancora tangenti imposte persino alle ambulanze in servizio all’ospedale San Leonardo.
Quasi venti diversi episodi registrati in due anni (tra il 2007 e il 2009). Il perimetro d’azione dell’ultima inchiesta che fa tremare i bunker della camorra di Castellammare di Stabia. L’ennesima indagine dell’Antimafia sugli affari illeciti del clan D’Alessandro. Un’inchiesta culminata nella notifica di un avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal sostituto procuratore della Dda, Giuseppe Cimmarotta, il pm che con le sue indagini sta colpendo al cuore l’impero criminale di una delle cosche più potenti della provincia di Napoli.
Cinque gli indagati che ora rischiano il processo. Ventitré i capi d’imputazione. Le accuse contestate, a vario titolo, sono di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione di armi e ben 19 episodi estorsivi di vario genere commessi (tra il 2006 e il 2009) ai danni di altrettanti imprenditori. Cifre da capogiro, dai 10.000 ai 500.000 euro.
Nella lista degli indagati ci sono i nomi di Vincenzo D’Alessandro, all’epoca ritenuto il reggente del clan, del boss Paolo Carolei, considerato l’anima imprenditoriale della cosca, oltre ai due pentiti Salvatore Belviso e Renato Cavaliere. Ma in quell’elenco c’è anche Guglielmo Coppola, sessantatreenne stabiese incensurato. A Coppola è contestato un unico capo d’imputazione. Secondo le accuse avrebbe fatto da «tramite» per conto del clan nella riscossione di una tangente da mezzo milione di euro che i D’Alessandro avrebbero incassato da un imprenditore che stava acquistando un albergo a Castellammare.
Vicende, ricostruite anche grazie ai due pentiti indagati. Episodi in parte anche confluiti nella mega-inchiesta Tsunami, indagine che ha portato a processo lo stesso Vincenzo D’Alessandro, oggi sorvegliato speciale e Guglielmo Coppola.
Gli indagati avranno comunque la possibilità di dimostrare la propria innocenza presentando memorie difensive o chiedendo di essere ascoltati dal pm.