Saracinesche alzate e calzini nelle vetrine di alcuni negozi. Così stanno protestando a Napoli i commercianti di quelle categorie merceologiche che, in virtù delle norme anti covid nelle zone rosse, devono rimanere chiusi. Nelle vie dello shopping del quartiere Vomero, tuttavia, la protesta indetta dalle associazioni di categoria non sfonda. E domani è prevista un’altra manifestazione in piazza del Plebiscito. I commercianti sottolineano che la Campania e Napoli sono in zona rossa da oltre un mese e tuttavia i contagi non sono diminuiti. “È evidente – afferma Lilli Mandile, titolare di una gioielleria – che non siamo noi a far crescere la curva dei contagi. Soprattutto la nostra categoria merceologica per sue caratteristiche non crea assembramenti né all’esterno né all’interno dei negozi, dove si entra massimo due alla volta”.
Dita puntate dunque contro le decisioni del Governo, prima con Conte e ora con Draghi, di dividere le attività del commercio in essenziali e non essenziali. “Si sono arrogati il diritto di decidere chi può lavorare e chi no – afferma un altro commerciante – di decidere chi deve vivere e di chi deve morire perché con i ristori che ci danno, quando arrivano, si può solo morire e non riaprire più”. Sulle vetrine affissi manifesti con le scritte: ‘Il futuro non si chiude’ e ‘Io apro, abbiamo il diritto a lavorare come gli altri’. Gli esercenti sottolineano che tenere chiuse le attività commerciali significa far chiudere anche le fabbriche. “Se noi non vendiamo – evidenzia Annalisa Gentile, gioielliera – le fabbriche orafe non hanno ordini e di conseguenza chiudono.
Non stanno uccidendo solo il commercio di prossimità ma anche le fabbriche e tutto l’indotto”. I commercianti lanciano al Governo la loro proposta: tutti aperti dal lunedì al venerdì con orari continuati per diluire le affluenze e lockdown per tutti nel weekend. “Il fine settimana c’è sempre tanta gente in strada – denunciano – si vedono intere famiglie che vanno in giro con bici, monopattini, ragazzi che giocano a pallone e nessuno dice nulla e noi invece dobbiamo stare sempre chiusi”. Gli esercenti gridano a gran voce la necessità di un cambio di passo nelle misure anti covid perché “la pandemia sarà ancora lunga e noi non possiamo andare avanti così. Ci stanno affamando senza che si vedano i risultati delle loro strategie”.
“Noi così finiamo tutti per strada. Dobbiamo ancora pagare le forniture della scorsa stagione ma intanto non abbiamo guadagnato. E non ci vengano a parlare di ristori, secondo lei un negozio a Chiaia cosa ci fa con duemila euro?”. Il martedì dopo Pasqua è il giorno dello sfogo per i negozianti di Napoli, come Salvatore Amente, nel suo negozio in via Carlo Poerio. Hanno riaperto in centinaia per protesta, senza servire i clienti ma stando nei negozi per testimoniare un disagio ormai insostenibile. La protesta è iniziata stamattina esponendo slip in vetrina per ironizzare sui negozi di intimo aperti, ed è aumentata nel giro di poche ore, con tante saracinesche che si alzavano man mano, allargando il fronte che proseguirà a oltranza nei prossimi giorni, mentre domani un ampio gruppo di commercianti sarà in Piazza del Plebiscito, davanti alla Prefettura.
“Sabato – spiega Roberta Bacarelli di Federmoda, aderente a Confcommercio – c’è stata una riunione di tutti i dirigenti di Napoli e provincia e abbiamo deciso insieme questa apertura perché ci sembra assurdo che se vendi mutande puoi stare aperto e centinaia di noi siamo chiusi. In un anno siamo stati chiusi cinque mesi, non possiamo più reggere. Sono aperti negozi di fiori, ottici, pc, giocattoli, come se noi vendessimo cose superflue e i giocattoli fossero necessari. Ci sembra una cosa da pazzi”. I negozianti ricordano gli affitti molto cari che non riescono più a pagare: “In molti – spiega Bacarelli – hanno avuto un 20% di sconto ma a fronte di un anno di merce non venduta non è nulla. Abbiamo tutti i magazzini pieni di merce che abbiamo già pagato e non venduto o che dovremo ora pagare”. Domani al Plebiscito, Confesercenti poterà 15 croci, simbolo della disperazione di ciascun settore commerciale, ormai alla resa a causa della pandemia e del sostegno scarso. “Speravamo – aggiunge Amente – che avremmo aperto qualche giorno a Pasqua per pagare qualche bolletta, ma il signor De Luca e il signor Speranza e il signor Draghi hanno ritenuto opportuno tenerci chiusi.
Ci sono nove Regioni che possono andare in arancione, ma De Luca vuole che noi restiamo sempre rossi, perché ci vuole punire, è uno sceriffo e se lo sta meritando in pieno”. La rabbia è tanta e i negozi hanno aperto al Vomero, a Chiaia, in Corso Umberto, in via Toledo. Saracinesche alzate ma niente accoglienza dei clienti: “Per la primavera – spiega Bacarelli – abbiamo preso meno merce ma comunque abbiamo dovuto comprare. E si compra sei mesi prima, nessuno di noi pensava che ad aprile stessimo così, chiusi. Finora 5000 negozi hanno già chiuso in Campania e molti altri non ce la faranno. Siamo i nuovi poveri”. In alcuni esercizi è arrivata la polizia, come da Yellow, galleria di quadri e fotografie.
“Dall’8 marzo siamo di nuovo chiusi e abbiamo deciso di aprire per unirci alla protesta, c’è grande discriminazione a svantaggio dell’abbigliamento e altre categorie, non siamo in lockdown, tutti sono aperti tranne alcune categorie – spiega Ugo Romano, il titolare -Stamattina è venuta la polizia amministrativa in maniera anche dura, si sono lanciati nel negozio chiedendomi perché la porta era aperta. Io sono a casa mia e la porta la tengo aperta quanto mi pare, cosa diversa se avesse trovato un cliente ma non c’era. Si sono lanciati come se mi avessero trovato a rubare a casa mia”.