Il video dell’elezione a presidente del consiglio comunale di Emanuele D’Apice finisce sul tavolo del Prefetto di Napoli, Marco Valentini, e del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. E’ l’ultimo capitolo, forse quello decisivo, del dossier che potrebbe portare la commissione d’accesso al Comune di Castellammare di Stabia. Sott’accusa finiscono le parole pronunciate dal neo presidente del consiglio comunale, che nel suo discorso ringrazia il padre Luigi, deceduto nel 2019.Emanuele D’Apice non ha mai avuto problemi con la legge, mentre suo padre, conosciuto come ‘o ministro, nel 2004 fu condannato a 4 anni per associazione camorristica. In particolare, era ritenuto l’anello di congiunzione tra il clan Cesarano e la politica di Pompei, negli anni in cui si arrivò allo scioglimento dell’amministrazione comunale della città mariana, per infiltrazioni camorristiche. Una storia vecchia, ma che torna d’attualità a distanza di 17 anni con l’elezione del figlio a presidente del consiglio comunale.Al termine del discorso di D’Apice, nell’aula Falcone-Borsellino, la maggioranza applaude, mentre l’opposizione resta in silenzio.
«I figli non devono scontare gli errori dei padri. Tuttavia la dissociazione rispetto a comportamenti sanzionati dalla comunità come criminali rimane doverosa», dice Nicola Morra, senatore e presidente della commissione parlamentare Antimafia. Più duro l’intervento del senatore Sandro Ruotolo, primo firmatario della richiesta d’invio della commissione d’accesso al Comune, un mese fa: «È inaccettabile quello che è accaduto, un vero insulto alle istituzioni, alle persone perbene – sostiene Ruotolo – Il ministro dell’Interno, il prefetto di Napoli, non devono attendere un minuto in più per la nomina della commissione d’accesso al comune di Castellammare di Stabia».«La scelta di concludere il suo intervento con un elogio ad una figura estremamente controversa, sebbene suo padre, per inaugurare il suo nuovo ruolo istituzionale ci sembra oltremodo inopportuno», recita una nota del meet up stabiese del M5S.«Le parole di D’Apice sono estremamente gravi e preoccupanti. Sono altri, uomini e donne dello Stato, delle Istituzioni e della Chiesa ad essere “fari” della nostra attività politica, non certamente un uomo che la giustizia italiana ha condannato come camorrista», ha dichiarato Ciro Buonajuto, coordinatore regionale di Italia Viva.
«Le parole di D’Apice e gli applausi sono inopportuni e gravi», affermano le deputate del M5S, Carmen Di Lauro e Teresa Manzo.«Mio padre ha pagato per gli errori commessi ed in seguito ha profuso ogni sforzo per formare e crescere nel segno della cultura della legalità tre figli, tre professionisti affermati – replica D’Apice – Gli sono grato per gli insegnamenti che mi ha dato nel segno del riscatto. Chi strumentalizza queste posizioni mi fa solo schifo». «Il vero insulto arriva da chi strumentalizza l’antimafia per ragioni politiche – sostiene il sindaco Gaetano Cimmino – La legalità si pratica sul campo e su questo aspetto ci siamo sempre posti in prima linea, sin dal primo giorno. Sfido chiunque a dimostrare il contrario».Ma il Pd non ci sta e il segretario metropolitano, Marco Sarracino e cittadino, Peppe Giordano sostengono: «E’ stata una sfida allo Stato, deve dimettersi».