Sono passati due mesi dall’omicidio di Maurizio Cerrato, uno dei killer è ancora in libertà e i testimoni che hanno assistito al massacro del sessantunenne ancora non si sono decisi a parlare. Anzi, qualcuno ha addirittura depistato le indagini, cancellando le riprese dei circuiti di videosorveglianza, che avrebbero potuto consentire agli investigatori di ricostruire la dinamica dell’efferato delitto e individuarne i responsabili. Una macchia su una città come Torre Annunziata, che dopo l’istintiva e naturale reazione di sdegno iniziale, sembra già aver metabolizzato un omicidio per il quale bisognerebbe avere sete di giustizia. «Sono due mesi che vorrei gridare la mia rabbia, ho preferito tacere, ma ora non ne posso più – dice Tania Sorrentino, vedova di Maurizio Cerrato – Qualcuno mi ha chiesto ma non si poteva evitare? Certo che si poteva evitare. E sapete come? Sarebbe bastata una telefonata fatta mentre tante persone guardavano oppure non cancellare prove di ciò che era accaduto, non nascondere video fatti col telefonino solo per paura di quattro deficienti che si pavoneggiano».
La rabbia della famiglia Cerrato nei confronti di chi ha ammazzato un uomo che aveva semplicemente soccorso la figlia alla quale avevano bucato le ruote dell’auto, cercando anche di evitare discussioni, è tanta. «A queste bestie rivolgo una frase che mio marito ripeteva spesso: “Ma tu da solo quanto vali?” – dice Tania Sorrentino – Io la risposta la conosco: meno di zero, il nulla. Non auguro il male di nessuno, ma spero che tutte le persone che non hanno fatto tutto ciò che era giusto fare in questa vicenda, quando abbracceranno i propri figli si ricordino che una bimba di sette anni non potrà mai più farlo. Sentirà gli altri bimbi chiamare papà e le verrà un tuffo al cuore». Un dolore forte che spinge la vedova Cerrato a rivolgersi a chi sa cosa è accaduto quella sera del 19 aprile, ma si è chiuso dietro un silenzio omertoso: «Siete colpevoli anche voi». Una condanna senza appello.
Inevitabile. Il dolore che sta vivendo la famiglia di Maurizio Cerrato viene fuori dalle parole di Adriana, la prima figlia del sessantunenne, che era assieme a lui quella maledetta sera del 19 aprile, quando i componenti del branco, senza scrupoli, lo ammazzarono con una pugnalata al petto. «Due mesi fa è stata strappata metà della mia vita, non l’accetto e credo che mai lo farò», scrive Adriana. Una ragazza di 22 anni alla quale è stato portato via l’affetto più grande: «Ho finto di essere forte come il mio papà, fin quando ho potuto – conclude Adriana – Ma sono tanto stanca. Nella mia vita mi sentirò sempre insoddisfatta, perché ogni giorno felice non potrò condividerlo con il mio papà».