Prima le botte, poi una quantità tossica di farmaci – oppiacei, neurolettici e benzodiazepine – assunta “in rapida successione e senza controllo sanitario”: è morto per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto, Lamine Hakimi, detenuto straniero affetto da schizofrenia, uno dei 15 carcerati del reparto Nilo classificati dalla Polizia Penitenziaria come pericolosi e per questo motivo messi in isolamento nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dopo l’ “orribile mattanza”, come l’ha definita il gip, del 6 aprile 2020. Un evento che ha spinto l’ufficio inquirente guidato dal procuratore Maria Antonietta Troncone a ipotizzare nei confronti dei poliziotti indagati il delitto di “morte come conseguenza di altro reato”. Scelta però non condivisa dal Giudice, che invece ha classificato quel decesso come un suicidio. Hakimi morì il 4 maggio 2020 nella sezione Danubio, a distanza di quasi un mese dalle violenze perpetrate dai poliziotti penitenziari sulle persone ristrette nel Reparto Nilo. Agli altri detenuti in isolamento che soffrivano di varie patologie, secondo quando riporta l’ordinanza, venne sospesa la somministrazione dei farmaci. Il giorno della morte di Hakimi, inoltre, venne eseguita un’altra perquisizione personale durante la quale, per l’ennesima volta, gli agenti sputarono sui detenuti e proferirono minacce nei loro confronti: “mica è finita qua! Avete avuto la colomba, dovete avere ancora l’uovo di Pasqua”.
CRONACA
30 giugno 2021
Violenze in carcere: morto in cella, imbottito di oppiacei dopo le botte