Roma. Non ci fu alcuna evasione fiscale, nessun illecito. Finisce così la vicenda giudiziaria che coinvolgeva il cantante Gigi D’Alessio, accusato di avere frodato il fisco per circa 1,7 milioni di euro. Lo ha stabilito il giudice monocratico di Roma che ha fatto cadere le accuse per l’artista ed altre quattro persone con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Il processo nasce da un’inchiesta del 2015 dei pm capitolini per un’evasione fiscale legata al mancato versamento di Iva e Ires. I fatti risalgono al 2010. Insieme a D’Alessio erano finiti a processo un socio del cantante napoletano e tre legali rappresentanti che negli anni si erano avvicendati nella Ggd Productions srl, società riconducibile a D’Alessio nei cui confronti la Procura aveva sollecitato una condanna a 4 anni per l’accusa di occultamento delle scritture contabili.
Nel corso della requisitoria il rappresentante dell’accusa aveva chiesto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione a due capi di accusa. “Finalmente la giustizia ha fatto il suo corso”, ha commentato il cantante aggiungendo che per lui oggi “è un giorno felice perché la verità è venuta a galla, dopo oltre dieci anni di ombre pesanti per me e i miei collaboratori, in cui ci siamo dovuti difendere da accuse infondate che hanno infangato la nostra serietà e il nostro lavoro”.
E ancora: “chi mi conosce sa che sono sempre stato tranquillo, avendo massima fiducia nella giustizia e nel lavoro della magistratura. Con tanta pazienza, la verità alla fine vince sempre e ora è sotto gli occhi di tutti”. Secondo il capo di imputazione D’Alessio, in concorso con altri imputati, “al fine di consentire alla società Ggd di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, alienava simultaneamente tali partecipazioni alla Global Music, società con sede negli Usa cui apparentemente – è detto nel “415” – e veniva consegnata la documentazione contabile e amministrativa della Ggd sicché di tali scritture si perdeva traccia, distrutte o comunque occultate le scritture contabili obbligatorie” in modo “da non consentire e ostacolare la ricostruzione del volume d’affari e dei redditi della predetta società”.
Per i difensori, gli avvocati Pierpaolo Dell’Anno Giuseppe Murone e Gennaro Malinconico, “il tribunale di Roma, oggi, ristabilisce la verità dalle ipotesi accusatorie, rimaste prive di riscontro, riconoscendo la legittimità dell’operato dell’artista, che ha sempre creduto che la giustizia riconoscesse l’assoluta legittimità del suo agire. Il tempo è galantuomo”.