Apple ha annunciato un nuovo importante investimento nella sua Developer Academy di Napoli, con l’obiettivo di fornire opportunità di apprendimento e di carriera ad aspiranti programmatori, creatori ed imprenditori in tutta Europa. Dalla sua apertura nel 2016, quasi 2.000 studenti sono passati attraverso il programma dell’Academy, che fornisce strumenti e formazione per trovare e creare lavoro nell’economia delle app per iOS. Negli ultimi anni, cinque sono i giganti del web che più hanno rivoluzionato il mondo: Alphabet (casa madre di Google), Apple, Facebook, Amazon e Microsoft si contendono la leadership nel campo digitale. Fondata nel 1975 da Bill Gates e Paul Allen, Microsoft è la più longeva tra le cinque e vanta un fatturato che supera gli ottanta miliardi di dollari l’anno. Tra i prodotti di maggior successo della società c’è Windows, il sistema operativo più diffuso al mondo, lanciato nel novembre del 1985 per dare il via a una rivoluzione che in 36 anni ha cambiato le nostre vite.
Nel 2021 le Big Tech hanno raggiunto un valore complessivo che supera gli otto mila miliardi di dollari. Ognuna di queste società ha registrato un record di vendite e di profitti con l’esplosione del Covid-19. Queste aziende sono in forte crescita da quasi un decennio e la pandemia ha rappresentato per loro un evento unico, una tempesta perfetta. Forse il graduale ritorno alla normalità può rallentare alcuni dei servizi offerti da queste compagnie, come e-commerce, social network e media online. Eppure, il clima in cui si muovono le Big Tech è sfavorevole nell’opinione pubblica e nell’agenda politica. Queste aziende sono nel mirino delle autorità americane ed europee sul fronte fiscale e per evitare di finire nelle sabbie mobili di una trattativa lunga e complessa nel frattempo investono su iniziative sociali ed economiche per dimostrare la propria importanza nel processo di evoluzione.
Tim Cook, amministratore delegato di Apple, dichiara che l’azienda investe in giustizia sociale ed equità razziale, in abitazioni sostenibili, educazione e nel sostegno alla campagna globale contro la pandemia. Philip Schindler, capo di Google, sostiene di aver aiutato le imprese in particolare durante la pandemia. Ci troviamo inevitabilmente dentro una società di piattaforme, dove pochi soggetti privati impattano direttamente sull’organizzazione della vita individuale e collettiva.
E di conseguenza cambia il modo di approcciarsi alla vita, allo studio e all’informazione. Siamo passati dall’usare la tecnologia all’esserne dipendenti. Mirta Michilli, direttrice di Fondazione Mondo Digitale, analizza con soddisfazione la massiccia diffusione della tecnologia nella società. È convinta che lo sviluppo tecnologico possa essere uno strumento di crescita inclusiva. Tuttavia, l’educazione digitale in Italia viaggia molto più lentamente dell’evoluzione stessa. Il 58% della popolazione adulta non ha le competenze digitali di base, una percentuale molto più alta della media europea (42%). E se dovessimo scorporare i dati regione per regione avremmo la solita fotografia di un Paese a due velocità, con il Sud ancora più penalizzato in termini di conoscenze digitali. Inoltre, in Italia ci sono 11 milioni di cittadini che non usano internet, più o meno il 20% della popolazione.
Una statistica desolante sulla quale incidono le abitudini certamente ma anche le criticità di un Paese che stenta ad essere al passo con il resto d’Europa sul piano degli investimenti e della realizzazione delle infrastrutture a sostegno dell’evoluzione tecnoligica e digitale. Banda larga, server, servizi icloud per immagazzinare, archiviare ed elaborare i dati delle pubbliche amministrazioni, identità digitale, ovviamente competenze dei cittadini da potenziare. Il percorso lungo e tortuoso che dovrebbe portare davvero l’Italia nella nuova era è legato adesso ai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, circa 40 miliardi stanziati per la digitalizzazione di pubblica amministrazione e sistema produttivo. Un passo avanti nell’innovazione tecnologica che potrebbe offrire anche nuove opportunità per quanto riguarda la partecipazione alla vita democratica del Paese: dalla raccolta di firme per referendum e petizioni fino alla eventuale possibilità del voto digitale.
Oggi però, il rischio che una parte del Paese, e del Mezzogiorno in particolare, resti esclusa, è concreto. Anche Michilli lo vede. «Le persone fragili potrebbero restare indietro senza il sostegno delle istituzioni», il che aumenterebbe le diseguaglianze sociali. In tal senso bisogna migliorare le competenze di base: saper usare la posta elettronica, informarsi, gestire un conto corrente online. Oggi lo sa fare il 41,5% della popolazione. La rivoluzione tecnologica e digitale, quando sarà compiuta, potrà solo migliorare l’impatto positivo che ha già avuto sulla società: la connessione di persone e imprese, l’efficienza delle aziende, la creazione di nuove opportunità di lavoro. Un processo nel quale anche le associazioni devono giocare un ruolo importante attraverso il Servizio civile digitale per formare e guidare i giovani ai quali, come sostiene Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica, spetta anche il compito di «aiutare le fasce più deboli della popolazione ad acquisire le imprescindibili competenze per esercitare una piena cittadinanza digitale».
Ma il futuro digitale non è solo un mondo dorato, nasconde certamente insidie e trappole. Secondo il Terzo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, sette milioni di lavoratori temono di perdere il posto di lavoro per l’avvento dei robot e dell’intelligenza artificiale. Un operaio su due vede il proprio lavoro a rischio. Dice Angelo Colombini della Cisl: «L’intelligenza artificiale e i robot devono servire per il bene della persona, aumentare la dignità delle persone, diminuire la fatica e i rischi di alcuni mestieri. L’uso della tecnologia a vantaggio degli operai dipende anche dalla volontà delle imprese. Del resto, dobbiamo assolutamente evitare di impantanarci nell’obsolescenza».