“Il mondo davanti alla mia porta”. é da questa citazione del famoso fotografo americano Paul Strand che Luigi Spina é riuscito a cogliere le bellezze del nostro territorio in un viaggio unico e sorprendente. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli é il luogo che ospita questo racconto di immagini, finalizzato a immergere i visitatori nella ordinarietà di duemila anni fa nei pressi del Vesuvio. Spina, laureato in scienze politiche, ha da subito capito che non era la sua strada e ha scelto di inseguire il suo più grande sogno: la fotografia. Una fotografia che nasce dalla necessità di trovare un espressione a ciò che si sente e dando anche al proprio territorio il giusto riconoscimento. Una frase che ha contribuito fortemente a intraprendere la strada di questo nuovo percorso è quella di un suo caro professore, “bisogna avere il coraggio di scegliere” e Luigi ha scelto.
Tra una chiacchiera e l’altra rievoca il suo primo lavoro e mentre racconta traspare un senso di soddisfazione dalle sue parole. Nel Marzo 2001 Gente di fotografia da’ alle stampe il volume “Anfiteatri”, un viaggio tra le immagini meno note degli anfiteatri di Pompei, Roma, Pozzuoli e l’antica Capua, sua città natale. La mostra arriva anche a Milano, il posto in cui in parte è cresciuto e dove crea il suo secondo studio, il primo a Santa Maria Capua Vetere.
Dire che è solo un fotografo è riduttivo, perché Spina è uno storico, archeologo e amante dell’arte. L’amore per essa è percepibile dai suoi scatti, attraverso i quali vuole dare una vita eterna agli oggetti che immortala, come uno dei suoi lavori più recenti “Canova quattro tempi”. Si tratta di un’importante collaborazione con Vittorio Sgarbi che vede impegnato Spina in due imprese fotografiche: “Canova: quattro tempi”, una visita al Museo gipsoteca di Possagno, patria di Canova, dove sono raccolti i gessi e i bozzetti dello scultore; e il terzo volume della serie Tesori Nascosti, San Domenico di Niccolò dell’Arca una monografia sul busto di San Domenico realizzato da Niccoló dell’Arca nel 1474 appartenente alla fondazione Cavallini Sgarbi. In mostra al Mart di Trento e Rovereto fino al 18 aprile 2022. Come spiega il fotografo Luigi Spina “il gesso è, nell’atto del concepimento dell’artista, il momento fragile e variabile del sentire il corpo della scultura”. Ad attirare l’attenzione su queste armoniose sculture dei chiodini in bronzo, i quali guidano il fotografo e fanno si che l’occhio dello spettatore si sposti tra espressioni e panneggi che sembrano reali. Grazie a queste sequenze fotografiche in bianco e nero, emergono gli elementi chiave di queste opere, la luce e la plasticità della materia. Nel sottotitolo si può ben capire che oltre la luce e la plasticità, un altro elemento chiave che emerge è la dimensione temporale nella quale si conduce la ricerca fotografica. Questa dimensione, inoltre, ha una importanza nella fase creativa e realizzativa dello scultore neoclassico: c’è un prima e un dopo l’opera in gesso. Il prima è lo studio preparatorio; il dopo, l’opera finita.
Il gesso si pone nel mezzo. Dai reperti alla vita, duemila anni fa come oggi. La mostra “Sing Sing. Il corpo di Pompei” accoglie il pubblico fino al 30 giugno 2022 nei sottotetti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Cinquanta fotografie in bianco e nero tracciano un itinerario di ricerca tra le celle dei depositi Sing Sing, alla scoperta della vita quotidiana che animava le città vesuviane. Semplici oggetti, candelabri, vasellame, lucerne, piccole sculture di bronzo ricordano la vita, prima che scomparisse. Una porta in ferro separa lo spettatore dallo spettacolo storico che offre il fotografo. Basta aprirla per ritrovarsi in un lungo corridoio lungo e stretto, il quale condurrà alle quindici celle chiuse da grate che custodiscono memoria dei documenti di cultura materiale provenienti da Pompei e Ercolano. L’idea di chiamarlo Sing Sing venne all’archeologo Giuseppe Maggi. E come dice appunto Maggi “Sing Sing perché hai la sensazione di essere in un carcere. Durante la mostra c’è un consegnatario che accompagna le persone, quasi come se fosse un agente di polizia penitenziaria che ti scorta nella cella”.
Spina, attraverso un oggetto, che sia una scultura piuttosto che un vaso, intende raccontare il vissuto che c’è dietro. Secondo l’artista, tutti siamo transitori delle esperienze vissute, e molto spesso il nostro unico scopo è quello di trasferire le esperienze altrui attraverso la propria, a quelli che verranno dopo di noi. Un museo, insegna a raccogliere le memorie di tanti e tante civiltà e società che si sono dissolte, e a prenderne il meglio trasferendolo poi ai giovani che a loro volta lo trasferiranno al prossimo. Tanti sono i capolavori che offre il museo nazionale, ma il fotografo ha selezionato quelli che secondo lui gli ricordassero di più la storia di casa nostra.
“Mi interessava far vedere alle persone il bollitore, la padella, fino ad arrivare al pane. Questo pane è l’ultimo di una generazione, di una società che è finita proprio quella notte. Eppure quel pane si trova apposta alla fine del percorso della mostra, rimane lì, carbonizzato, ancora rimasto nel forno”. Quel pane non è stato più consumato da nessuno. Il pane che è il desiderio della vita, quella notte finisce per Pompei. Questo nutrimento è il simbolo del corpo di Pompei, che non a caso la mostra si intitola proprio così “Sing Sing, il corpo di Pompei”. L’apertura della mostra era programmata inizialmente per il 6 marzo 2020, ma a causa della pandemia è stata rimandata. Intanto è uscito il libro con una sequenza di immagini, o anche chiamata anastilosi, intesa come una pausa dal mondo che circonda l’essere umano e farlo riflettere durante essa. Luigi Spina, non a caso è stato nominato da Artribune, una testata di arte e cultura, come miglior fotografo del 2020. Un artista da cui prendere esempio.
“A tutti gli aspiranti fotografi dico credete sempre in voi stessi, non mollate, se avete un’idea o un progetto, analizzatelo con cura e vedrete che tutto è possibile, se fatto con impegno. Le parole di Eduardo De Filippo quando credo di non farcela emergono nella mia testa “silenzio e gelo” e mi donano quella determinazione per portare avanti qualsiasi idea mi venga”. E aggiunge di non fermarsi mai, poiché in queste professioni artistiche, l’arte non dorme, e non esistono festivi o feriali. “Io sono ciò che sono perché credo in quello che faccio, e lo faccio sempre. Lo faccio quando sono sveglio e quando dormo. Una volta che tu hai intercettato cosa sentì di fare nella tua vita, la cosa più bella da fare è dedicarle la tua esistenza”.