Da piccola beveva il latte delle vacche appena munto. Oggi, invece, empatizza coi pomodori. Con loro ha un rapporto d’amore e odio, perché è allergica alle loro foglie. Così quando li raccoglie deve usare tutte le accortezze: manica lunga, collo coperto, guanti. Valentina Stinga, quasi 33 anni e una laurea in Marketing Management alla Bocconi, è un’imprenditrice agricola di Sorrento, la sua città natale. Ha deciso di tornare da Milano dopo sei anni, e pazienza se alcune delle sue amicizie non l’hanno più compresa. «Si va avanti», perché se c’è una cosa che caratterizza Valentina è proprio la sua perseveranza.Ha iniziato coltivando il terreno di famiglia e siccome la produzione era maggiore rispetto al consumo, ha deciso di farne il suo lavoro. Fino a lanciare Rareche, la sua azienda, che in napoletano vuol dire radice. La sfida più grande è stata dover convincere i suoi genitori. «All’inizio è stato difficile ora un po’ si sono rassegnati, un po’ sono orgogliosi». Valentina sa di dover combattere il retaggio culturale secondo cui il contadino lo fa chi non ha competenze e sa di dover affrontare la difficioltà dei giovani, soprattutto delle donne, di fare impresa al Sud. «Fare lavori tradizionali non vuol dire tornare indietro», ripete ma ammette che i mestieri tradizionali hanno bisogno di innovazione per sopravvivere e, quindi, di giovani. L’estate scorsa squilla il telefono. Le viene chiesto di tenere un discorso davanti al vicesegretario generale dell’Onu, Amina Mohammed. Il suo discorso, incentrato sulle difficoltà della produzione, ha colto nel segno e il vicesegretario ha citato Valentina nel suo discorso della sera successiva.
Un’apoteosi. «Amina Mohammed s’è sentita molto colpita dal fatto che anche una piccola produttrice potesse essere fortemente investita dai cambiamenti climatici del mondo».Valentina è stata scelta come responsabile Coldiretti Donne Impresa della Campania, rappresenta tutte le aziende agricole campane a guida femminile. Cerca di ascoltare i problemi di ogni singola imprenditrice e di fare rete con le altre responsabili regionali. Ritornando alle sue radici, insiste sul fatto che l’agricoltura è fondamentale per la Penisola Sorrentina. «Arrivi qui e vedi i terrazzamenti, i limoneti, gli ulivi. Se non ci sono più i contadini, non ci sarà più niente di tutto questo ben di Dio. E allora addio economia, addio eccellenze, e la bellezza sarà sostituita dalle frane delle montagne, dai terrazzamenti devastati, dagli olivi incolti, dai limoni distrutti». La sfida, dice, «è mettere insieme le due cose: turismo e agricoltura».Poi parla di ristorazione e fa luce sul tanto agognato chilometrozero: «Se noi convincessimo tutti i ristoranti di questa zona a comprare solo i prodotti di questo territorio, avremmo salvato due settori contemporaneamente. Sarebbe meglio anche per tutti. Per i produttori, per i ristoratori e per i consumatori. E’ un ragionamento abbastanza semplice, eppure sembra una roba da scienziati».La sua storia è un esempio per tante donne. Le è capitato che qualcuna vedendo i suoi post sui social si sia raccontata a lei a sua volta. Ne è colpita e onorata quando racconta di queste storie non facili, ma che ha cercato di maneggiare con cura. Ma anche Valentina ha avuto i suoi modelli e le storie che l’hanno ispirata.
Nel 2019 ha conosciuto in Turchia, dopo aver tenuto un discorso sull’imprenditoria femminile, la prima produttrice turca di cannabis biologica. Età 87 anni e un grande spirito d’intraprendenza. Così come la nonna di un suo amico che a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta ha trovato il coraggio di mollare tutto e di iniziare daccapo acquistando proprio un pezzo di terra. «Lei è stata proprio fantastica su questo, una pioniera» dice estasiata. Ma probabilmente è nella sua famiglia che aveva i modelli più importanti. Sua nonna era di estrazione contadina e quando le ha detto per la prima volta che stava per intraprendere questa strada, ricorda ancora e forse per sempre, la sua risposta: «Quando ti iscrivi coltivatrice diretta, facimm ‘na festa». Visibilmente emozionata, Valentina ricorda di come la nonna fosse stata l’unica a dirsi veramente orgogliosa della sua scelta, di come non si sia mai persa una trasmissione a cui lei abbia partecipato. Un aneddoto: «Ho una foto bellissima di mia nonna con queste mie prime zucchine che le guarda con grandissimo orgoglio, nonostante ce le avesse pure lei in giardino, però erano le mie ed erano bellissime». Lo ammette, forse ce lo aveva nel sangue. È questa la radice che ha generato altre radici. Chiedo a Valentina se ci sia qualche domanda che non le hanno mai fatto e a cui lei, invece, avrebbe voluto rispondere. Ci pensa su: «Se sono felice qualcuno me l’ha chiesto». Poi ci riflette meglio: «Mi chiedono sempre che cosa voglio fare per il futuro, però poi non mi chiedono mai se io mi senta arrivata in questo lavoro. La risposta? No, (ride), assolutamente no».
Nonostante l’ordine più lontano che abbia fatto sia stato per i Caraibi, per lei non è mai abbastanza. Poi parla dei suoi progetti futuri: a breve usciranno le bandane che per Valentina sono fondamentali, in inverno per la sinusite, d’estate per il sudore. E poi vorrebbe creare un laboratorio, se riuscisse a trovare il posto e il finanziamento giusto, per poter trasformare i suoi prodotti senza affidarsi ad esterni e salvare i prodotti invenduti che vengono gettati dagli altri, trasformandoli e dargli nuova vita. L’obiettivo: ridurre lo spreco. Su uno dei terrazzamenti mozzafiato che danno sul golfo di Surriento, per concludere, le chiedo di darmi un proverbio napoletano che le piace particolarmente. Sull’etichetta della sua ultima marmellata di limoni c’è n’è uno: ‘o limone sicco nun dà zuco. Poi spiega: «Fondamentalmente, è la difficoltà di ricavare qualcosa da una persona o da una cosa che effettivamente non ha niente da dare. Se quella cosa è secca, vuota, è inutile cercare di spremerla per tirarne fuori qualcosa. Allora passiamo avanti, prossimo limone».