Uno studente si alza, fa un respiro profondo, poi prende coraggio e chiede: «Don Tonino, come si fa a non avere paura?»Anche lui s’alza e in tutta onestà gli risponde: «Io non lo so come si fa a non avere paura, ma so che bisogna avere il coraggio di non omologarsi, di non diventare tali e quali a quelli che ci portano verso il basso. Tutto potrebbe farci paura, perché siamo fatti di paura, non è meschinità, è naturale. Ma a me sembra importante recuperare un’altra dimensione: avere il coraggio di non adeguarsi a come vanno le cose. A volte ci penso e nel nostro territorio, non fare le cose che fanno i mao mao è eversivo, è coraggioso, di come porti il motorino, come attraversi la strada, come parli con gli amici. È il coraggio di non adeguarsi, ma di andare verso una dimensione sempre più alternativa».
È Don Tonino Palmese a parlare, vicario episcopale per il settore carità e giustizia dell’Arcidiocesi di Napoli, nonché coordinatore regionale per la Campania dell’associazione Libera. E la domanda, come la risposta, è tutt’altro che retorica. È la mattinata del 9 maggio e in questa giornata “in memoria della vittima innocenti delle stragi delle mafie e del terrorismo” è più importante che mai avere un confronto di questo tipo, intergenerazionale, pulito e onesto. Una data non casuale, ma simbolica e straziante: il 9 maggio del 1978 il corpo di Aldo Moro ucciso per mano terrorista viene rinvenuto nel bagagliaio di una Renault 4 in Via Caetani, a Roma, mentre nella terra dei vespri e degli aranci, a Cinisi, viene ritrovato il corpo di Peppino Impastato fatto saltare in aria dalla mafia sui binari del treno Trapani-Palermo.
A commemorare queste vittime, e tutte le altre morti innocenti, c’hanno pensato le comunità studentesche dell’Iti “Renato Elia” e del Liceo “Francesco Severi” di Castellammare di Stabia, assieme agli studenti del Liceo “Publio Virgilio Marone” di Meta. Un incontro interscolastico nel corso del quale hanno avuto il grande privilegio di ascoltare l’alternarsi degli aneddoti, dei consigli e delle storie di due grandi personalità che hanno combattuto e combattono per il contrasto alle mafie, quali Don Tonino Palmese e il già Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho.
È un confronto che diventa a tratti fervido, come quando al Procuratore De Raho dalla platea di giovani studenti, qualcuno chiede come si faccia ad andare avanti nei territori come il nostro dove spesso regna l’illegalità, e lui risponde: «Qui la camorra ha delle basi ben radicate che risalgono ad oltre 50 anni, per questo c’è bisogno di una reazione maggiore. La pressione dello Stato c’è, ma deve essere fatto molto di più, soprattutto laddove esistono dei veri e propri fortini che vanno espugnati. Non è pensabile che esistano interi quartieri dove le organizzazioni criminali continuano a sviluppare il proprio potere senza che si faccia niente. Il cittadino non può essere eroe, è vero, ma può collaborare, ade sempio con le segnalazioni».
E contnua, ma questa volta insiste molto sulla cultura: «Spesso capita che quando un camorrista si trova al di fuori dell’ambiente criminale di appartenenza, con persone di cultura che parlano tra di loro, ecco tende proprio ad evitarle quelle persone, si allontana perché non riesce a sostenere il discorso, non riesce a condividere nulla. Questo significa che la cultura impedisce alla criminalità di estendersi, di espandersi. Perché è solo con la violenza e con l’intimidazione che la camorra è in grado di imporsi». Un appello per ricordare l’importanza della cultura, dello studio, ma soprattutto della Costituzione: «La Costituzione è il più grande patrimonio per un giovane e prendere consapevolezza del diritto di libertà significa impedire che gli altri ci possano orientare, costringere o esercitare pressioni».
Di riflessione in riflessione, arriva poi una domanda per Don Tonino Palmese che lo porta ad affrontare il tema delle baby gang e della violenza giovanile, e il prete coraggio pone l’accento su un fattore a cui pochi fanno menzione, l’anaffettività: «È un fenomeno che nasce dal disagio, si alimenta nell’abbandono educativo, ma soprattutto si nutre di una grande anaffettività. Nell’esperienza delle baby gang io credo che veramente non abbiamo mai fatto abbastanza dal punto di vista affettivo-educativo, per cui è chiaro che stiamo parlando di colpevoli che sono stati già vittime o di colpevoli che non hanno in senso della misura della colpevolezza, perché non si rendono nemmeno conto, per certi versi, che quello che commettono è sbagliato».
Ribadirlo qui, davanti ad un pubblico fatto di giovani, è necessario più di qualsiasi altro posto, perché stare dalla parte giusta non è un qualcosa di naturale, ma implica una scelta fatta di libertà e di responsabilità. E come ricorda Don Tonino, tra le cose che più odiano le mafie ci sono proprio l’associazionismo e le scuole fatte per bene, dove non s’intendono le scuole del mito e dei bei voti, ma «delle scuole che fanno giornate come queste, dove c’è emancipazione e in cui si danno delle nuove finestre dalle quali affacciarsi sul mondo. Ecco, è proprio tutto questo quello che le mafie temono».