Parla con cognizione di causa di ansiolitici e benzodiazepine, ma guai a dargli dell’ipocondriaco o del medico mancato. “Sono solo un appassionato di medicina”, mette in chiaro Carlo Verdone ospite d’onore al giuramento d’Ippocrate di circa 800 nuovi medici dell’Ordine di Napoli oggi al teatro Augusteo. “In un certo senso – spiega ai giovani neo laureati in platea – ci poniamo lo stesso obiettivo, voi curate i corpi, io gli umori, è come se fossi un antidepressivo. Ma voi fate un lavoro che il mio a confronto è una barzelletta, soprattutto oggi che con un mondo globalizzato come quello attuale ciò che succede a Hong Kong dopo 15 ore è da noi”. Gioca in casa Verdone: “La maggior parte dei miei amici sono medici – rivela – preferisco frequentare loro piuttosto che i colleghi con i quali si finisce sempre a parlare di incassi e cinema, che noia”.
Una passione che viene da lontano quella di Verdone: “Faccio diagnosi per qualche amico, poi vedo se il medico le conferma, ma in genere ci prendo, sarei stato un bravo diagnosta. Tutto nasce negli anni ’60. A quell’epoca casa mia era frequentata da alcuni pezzi da novanta della medicina dell’epoca come Valdoni, Stefanini, Borromeo, gente che curava il Papa o il Presidente della Repubblica.
Fu così che cominciai a collezionare l’enciclopedia medica, ma capii che non potevo fare il medico perché ero molto emotivo e alla vista del sangue non sarei andato avanti. Ad un certo punto mi ero messo in testa di avere un tracoma. Fu allora che mia madre si arrabbiò e butto i fascicoli, mi disse basta hai rotto”.
Ma la presenza di Verdone a Napoli è anche il pretesto per ricordare un medico napoletano decisivo nel suo percorso: “Da ragazzo ero instabile, soffrivo di ansia, avevo attacchi di panico, insomma uno stato vagamente depressivo. Fu allora che conobbi il dottor Gerardo D’Agostino, un oncologo napoletano e anche il più grosso diagnosta che abbia conosciuto. Andava a intuito, era super. Ti faceva tre domande e metteva le mani in 3/4 punti e ci azzeccava sempre. Gli devo dire grazie: se oggi faccio questa professione lo devo a lui. Era metà anni ’70, ero insonne, mi chiese quali hobby avessi. Io dissi la musica e poi le poesie. Chiese di leggerle, io non volevo, mia madre mi costrinse. Vide solo i titoli, Novembre, La solitudine dell’uomo, e altre dello stesso genere. Buttò le poesie, e cominciò a scrivere la ricetta: una compressa di Serpax a vita e mi disse ringrazia che sei ansioso e non una testa di ca… qualunque. Vedrai che l’ansia andrà via con i primi successi“.
Ai giovani medici Verdone non dà consigli: “Vi dico solo, e lo dico da paziente, che dietro il camice bianco ci deve essere l’uomo, ci deve essere l’umanità e l’ascolto. Non è importante che il medico sia autorevole, ma che sia amico del paziente, che sappia ascoltare e dare sempre una molecola di ottimismo che aiuta il malato a seguire meglio la cura.
Non fate come il mio Raniero, quello del “No, non mi disturba affatto”, ne ho incontrati tanti come lui di medici terribili”. A Verdone è stata consegnata una pergamena col giuramento di Ippocrate e un pastore di san Gregorio Armeno che lo ritrae col camice bianco e lo stetoscopio.