Napoli. Il braccio di ferro l’ha vinto, come tutti immaginavano, Beppe Grillo. Il fondatore aveva fatto capire chiaramente nelle scorse ore che la regola dello stop al secondo mandato non poteva essere derogata.
Giuseppe Conte, il leader che ha portato il Movimento dal 34% di marzo 2018 ai minimi storici oggi, ha dovuto cedere incassando l’ennesima batosta di una linea politica ondivaga e senza chiarezza.
La decisione, a quanto si apprende, sarebbe stata già comunicata dal leader del movimento Giuseppe Conte ai ‘veterani’ del M5S. Saltano, dunque, nomi storici del Movimento. Tra questi, Roberto Fico, Paola Taverna, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede, artefice dell’approdo di Conte nel M5S. Il nodo diventa, adesso, politico.
I big a casa.
Beppe Grillo, da consumato stratega, sapeva benissimo che derogare al principio del secondo mandato significava mandare in soffitta quel poco che resta della coerenza grillina. Come spiegare che il principio uno vale uno, alla base di tante decisioni errate del Movimento, veniva meno proprio quando si parlava dei big della politica? E così, anche se con musi lunghi e con qualche polemica, i vertici del Movimento hanno dovuto accettare.
Se ne dovrà fare una ragione, ad esempio, Roberto Fico, uno dei fondatori del meetup napoletano, amico personale di Grillo, colui che a Napoli ha portato il Movimento ad essere uno dei più votati in tutta Italia. Dovrà rinunciare all’auto blu, quella utilizzata venti giorni dopo essersi fatto fotografare mentre, come un comune cittadino saliva sul bus per andare a Montecitorio. Il tempo che qualcuno gli fece notare che l’auto blu e la scorta, non erano un corollario della mala politica, ma rispondeva ad esigenze di sicurezza nazionale su cui la narrazione grillina era poco attenta, ed arrivò il cambio di mezzo.
Anche Vito Crimi, ex capo politico del Movimento dovrà stare fermo un turno, come al Monopoli. Grillo investì sulle sue “capacità” quando dovette scegliere l’uomo giusto che da Sottosegretario all’Editoria aveva il compito di distruggere i giornali, annientare la stampa libera, mortificare il lavoro di migliaia di giornalisti. Salvo poi scoprire che quelle battaglie erano pura demagogia, che i soldi pubblici non finivano ai giornaloni dei grandi gruppi editoriali, ma a piccole cooperative che spesso sono l’ultimo baluardo dell’informazione libera in territori difficili.
Dovrà abbandonare l’idea di tornare ad essere un parlamentare anche l’ex Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, noto come Fofo Dj per il suo passato nelle discoteche. Autore di una bozza di riforma manettara ed anti-garantista, ispirata alle idee di Piercamillo Davigo, che però è naufragata davanti alle contestazioni della Corte Costituzionale. Non sarà della partita nemmeno Paola Taverna, la ruspante parlamentare romana che insultò vertici ed elettori del Pd ai tempi di Bibiano. Poi vi si alleò ai tempi del governo giallorosso. Ora deve ingoiare la decisione del “guru” Beppe Grillo che punta almeno a salvare il voto in doppia cifra.
In Campania, poi, non sarà della partita nemmeno l’onorevole Luigi Gallo, professore di scuola superiore a Torre del Greco, fedelissimo di Roberto Fico e capo della commissione cultura della Camera. Sacrificato, come tanti altri, sull’altare della demagogia e del “si salvi chi può”.
Per ora, poi, la strategia è abbastanza delineata: il Movimento Cinque Stelle, forte anche del ritorno dei duri e puri Virginia Raggi e Alessandro Di Battista, correrà da solo. Dovrà far dimenticare agli elettori rimasti di aver governato con Salvini, con Renzi, con Letta e anche con Berlusconi. Dovrà sperare che in questi cinque anni quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatola di tonno. Ma, mentre cercavano il coltello, si sono seduti su una comoda poltrona.