1996: per l’Italia è il suo 53esimo governo. Il Presidente del Consiglio Romano Prodi visita la Germania dello storico Cancelliere tedesco Helmut Kohl. Incontro cordiale, soddisfazione da ambo le parti. Poi Khol, ironico, chiede a Prodi: «Romano, chi verrà qui la prossima volta?».
Ecco, questo è il curioso aneddoto che forse meglio racchiude il senso d’instabilità politica ormai tipica dei governi italiani. I fatti parlano chiaro: 67 governi e 30 presidenti del Consiglio dal 1948 ad oggi. L’ultimo dei trombati Mario Draghi e il suo “governo dei migliori”. Conseguenza: lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate il prossimo 25 settembre.
Sebbene le urne d’autunno non si vedevano dal lontano 1919, Mattarella è stato chiaro: «la crisi economica e sociale non consente pause». Eppure solo un italiano su cinque, secondo i sondaggi, ha compreso la fine del governo Draghi.
Per tutti gli altri è una delle crisi di governo meno comprensibili di sempre. È da qui che nasce il timore da parte del mondo politico di trovare sempre meno italiani all’appuntamento elettorale. Sono pochi, tuttavia, coloro i quali parlano del fenomeno, sempre più in crescita tra i giovani, dell’“astensionismo involontario”, la mancata partecipazione agli appuntamenti elettorali per motivi indipendenti alle proprie scelte politiche.
Un po’ di chiarezza: nel corso di questa legislatura le Camere avrebbero dovuto discutere di una legge che avrebbe garantito il voto a circa 4,9 milioni di fuorisede. Milioni di giovani che dalla propria regione di residenza si spostano per motivi di studio o lavoro in un’altra regione e che trovano sempre più dispendioso far ritorno nei propri comuni di residenza per poter esprimere il proprio voto.
La soluzione più quotata è sicuramente il voto per corrispondenza, tra l’altro già attivo per gli italiani residenti all’estero. Secondo il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà potrebbero essere recuperati ben più di 4 punti di astensionismo. Ma l’opposizione del Viminale e la caduta del Governo hanno contribuito a svuotare la proposta di concretezza.
Oltre all’astensionismo involontario, poi, non è da sottovalutare quello volontario, dato dal continuo scollamento tra la classe politica e i giovani, che quest’anno pare attestarsi tra il 40% e il 45%.
A pesare sono i recenti eventi tra il ridicolo e il patetico consumatisi tra gli attori della classe politica: la bocciatura del DDL Zan, accolta da cori da stadio di parlamentari euforici tra i banchi del Senato, i mancati Referendum sull’eutanasia e sulla cannabis, il poco che c’è per le politiche giovanili nel Recovery Plan italiano, l’incapacità di dare al Paese un nuovo Presidente della Repubblica e di leggere nel corso dello spoglio nomi come quelli di Signorini e Razzi con una guerra alle porte dell’Europa. Gesti goliardici che restavano nel Palazzo prima della tv e dei social, ma che in un mondo iperconnesso come il nostro arrivano ovunque e sotto gli occhi di tutti.
I giovani, secondo i sondaggi, e in special modo quelli appartenenti alla Gen Z preferiscono la salvaguardia dei diritti sociali e civili. Ne è un esempio l’attivismo rinnovato sui social dall’hashtag alle piazze, come nel caso recente di Lorenzo Parelli, morto nel corso dell’alternanza scuola lavoro e che ha portato migliaia di giovani manifestanti nelle strade o le manifestazioni per il cambiamento climatico. Sintomo di una passione politica ancora viva tra i giovani.
Tuttavia sono tanti i politici che presi da simboli, liste, firme e candidati da presentare, continuano ad ignorare i giovani elettori convinti del loro disinteresse. Alle ultime politiche del 2018 circa il 40,4% di elettorato giovane ha scelto la coalizione di centrosinistra, il 38,5% dell’elettorato over 50 ha scelto quella di centrodestra.
Per il prossimo 25 settembre il centrodestra appare come la coalizione con maggior vantaggio, chissà mai che il gruppo di centrosinistra col suo turbinio di alleanze riesca a riconfermarsi tra le file dell’elettorato giovanile.