Ci furono clamore e tristezza, a Napoli, per la morte del piccolo Samuele, ed anche sconcerto quando si seppe che a lasciar cadere nel vuoto il bambino di soli 4 anni era stato il domestico, fino a quel momento ritenuta una persona fidata. Oggi a distanza di un anno e dieci giorni da quella tragedia il gup Nicoletta Campanaro ha chiuso il processo di primo grado celebrato con il rito abbreviato condannando a 18 anni di reclusione Mariano Cannio, 39 anni, in cura per una patologia psichiatrica. Il giudice ha accolto le richieste del pm Barbara Aprea, in forza alla sezione “fasce deboli” della Procura di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone. Presenti, alla lettura della sentenza, i genitori di Samuele, il nonno e altri suoi familiari che non sono riusciti a trattenere l’emozione.
Attraverso il loro legale, l’avvocato Domenico De Rosa, solo poche parole: “Non è opportuno parlare di soddisfazione, – hanno detto, riferendosi al verdetto – ci siamo rimessi nelle mani della legge”. Nei giorni successivi alla tragedia, avvenuta il 17 settembre dell’anno scorso, ci furono anche tensioni, tra gli operatori dell’informazione e la gente del quartiere che, per impedire ai giornalisti di avvicinarsi alla palazzina, costituirono una sorta di servizio d’ordine. Tensioni esasperate anche dalla notizia di un video che ritraeva la mamma mentre stringeva tra le braccia il figlio morente.
L’acredine culminò durante il funerale, celebrato il 22 settembre, quando alcuni parenti e amici della famiglia del bimbo in un momento di intemperanza nei confronti dei cineoperatori presenti, sfogarono la loro rabbia anche contro un poliziotto che stava riprendendo le esequie con una telecamera. Per questo episodio quelle persone, tra cui tre parenti stretti della mamma di Samuele, sono finiti sotto inchiesta per danneggiamento aggravato, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Nei giorni scorsi hanno ricevuto un avviso di conclusione indagine. Cannio venne individuato dalla Squadra Mobile e sottoposto a fermo il giorno dopo la tragedia: per prenderlo fu necessario un espediente. Agli inquirenti che lo interrogarono confessò di avere fatto cadere il piccolo giù.
Una notizia accolta con incredulità nel quartiere dove il 39enne domestico prestava servizio anche presso altre famiglie. Una consulenza lo ha ritenuto capace di intendere e volere, malgrado la patologia psichiatrica tenuta sotto controllo con le cure, e, quindi, anche di sostentere il processo. Oggi durante le repliche, l’avvocato difensore Mariassunta Zotti, ha rappresentato al giudice l’eventualità che la morte di Samuele potesse essere frutto di un incidente, tesi legata alla presenza sul balcone di un tavolino con due sedie che il piccolo avrebbe potuto usare per affacciarsi. L’ammissione di colpevolezza del suo cliente, sempre secondo l’avvocato Zotti, potrebbe essere invece riconducibile al suo precario stato di salute. Tesi non accolta dal giudice che ha ritenuto invece di condannarlo per omcidio volontario. “Appena saremo in possesso delle motivazioni – ha annunciato Zotti – presenteremo appello”.