Massa Lubrense. La sua installazione artistica in cima al Monte San Costanzo sarà visibile da ogni parte della città. Arriva dall’Iran l’artista che ha vinto il contest internazionale relativo al progetto “Massa Lubrense: arte, cultura del cibo e paesaggio”, organizzato in sinergia dal Comune, dal Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, dall’Associazione ristoranti lubrensi. Marjan Fahimi è già al lavoro in laboratorio per dare vita all’opera d’arte che sarà svelata a fine mese. Ad affiancarla in questi giorni ci sono un’équipe di ricercatori e studenti del Diarc e un gruppo di studenti del liceo Grandi di Sorrento. «Nel progetto porterò le mie origini», assicura Marjan che osserva intanto da lontano le rivolte nel suo Paese contro il regime degli ayatollah. Una rivoluzione sociale, innescata dalla morte della 22enne Mahsa Amini, arrestata dalla “polizia morale” per aver indossato l’hijab (il velo islamico) in modo “sbagliato” e deceduta in circostanze sospette, con ferite riconducibili ad un pestaggio. Marjan Fahimi vive a Roma dal 2004 e lavora in uno studio di architettura insieme al marito, coltivando inoltre la sua passione per l’arte.
Marjan, come è nata l’idea di partecipare al progetto?
«Quando è stato pubblicato il bando ad aprile, sono rimasta incuriosita dall’iniziativa e ho deciso di partecipare. Amo questi luoghi, hanno un fascino speciale. Sono stata ispirata dal paesaggio meraviglioso e dall’atmosfera incantevole di questo paradiso terrestre, che già ho avuto modo di frequentare artisticamente negli ultimi anni».
Quindi hai già avuto modo di esporre le tue opere in penisola.
«Certo, la mia prima esposizione risale al 2016 nella SyArt Gallery con cui tuttora collaboro, al fianco degli organizzatori Rosaria e Leone Cappiello e Rossella Savarese. Un’esperienza professionale che si è evoluta in una bella amicizia e che mi ha consentito di sviluppare l’amore per Sorrento e per questi territori».
Arte e architettura, due espressioni che coesistono nella tua ispirazione e nel tuo percorso professionale.
«Esercito la professione di architetto insieme a mio marito nel nostro studio a Roma. Ma ho coltivato da sempre la passione per l’arte, che mi ha consentito di esporre anche ad Atene, in Italia e ovviamente in Iran, il mio Paese di origine. Quello che ho pensato di fare qui, a Massa Lubrense, è un lavoro di commistione tra arte e paesaggio, per dare ulteriore luce a questo luogo magico».
In cosa consisterà l’opera che stai realizzando?
«Si tratta di un’installazione artistica che consiste in una lastra con pigmenti fluorescenti, che assorbono la luce durante il giorno e producono un effetto luminescente nelle ore notturne. L’obiettivo del progetto è quello di realizzare un’opera che sia visibile da tutta la città, integrandosi perfettamente al paesaggio circostante. Sto lavorando in un laboratorio che mi ha messo a disposizione Francesco Gargiulo, presidente dell’Associazione ristoratori lubrensi, il cui supporto è stato fondamentale dato che alloggio anche nella sua struttura. La scultura è quasi completa e sono in atto gli ultimi sopralluoghi per l’installazione e il montaggio. E in questo progetto ho voluto trasferire anche un po’ delle mie origini».
In questo momento il tuo Paese è dilaniato dalla repressione del regime contro le rivolte innescate dalla morte di Mahsa, per una ciocca di capelli che le spuntava dall’hijab.
«Sto seguendo con ansia e preoccupazione quello che sta succedendo in Iran. Lì c’è un pezzo del mio cuore, ci sono tanti miei parenti e amici. Ma soprattutto c’è la storia della mia vita, fino a quando nel 2004 mi sono trasferita a Roma per laurearmi in Architettura, dopo aver studiato Letteratura italiana a Teheran».
In tutto il mondo assistiamo di recente all’impeto di solidarietà di tante donne che si tagliano i capelli per supportare le rivolte femministe e il coraggio delle iraniane.
«Ho assistito a queste iniziative di sensibilizzazione e le ho apprezzate, ma ritengo che il problema sia ben più profondo e radicato rispetto all’esigenza di indossare bene un velo. Innanzitutto è innaturale che in un Paese civile debba esserci una “polizia morale”. Ed è ancor più incredibile tutta questa violenza. La rivolta nasce per contestare i soprusi e il malessere che deriva dal degrado economico e sociale che la morte di Mahsa ha ulteriormente alimentato».
Una strage che per ora ha causato oltre 200 morti e 5mila arresti.
«Spero con tutto il cuore che questa barbarie abbia fine. In Iran oggi è in atto la più grande rivoluzione femminista di tutta la storia, nata dal sangue di una martire. E questo è il momento di raccontare le storie di queste donne, che sono senza il supporto di internet e non possono comunicare con il resto del mondo. E sono anche avvolte da un altro assordante silenzio».
A cosa si riferisce?
«Al silenzio delle istituzioni mondiali, delle Nazioni Unite, dei leader che possono fermare queste oppressioni e aiutare il nostro popolo, ma per ora non hanno mosso un dito. In Iran ho tante persone a me care. Ma posso affermare con certezza che oggi tutta la popolazione iraniana è la mia famiglia».
Ha un appello da rivolgere alle donne?
«A tutte loro dico: continuate a sostenere la causa delle iraniane. Siate la loro voce. E se decidete di rimanere in silenzio, non tirate fuori le scarpette rosse il 25 novembre, nella giornata contro la violenza, perché le donne iraniane stanno pagando con il sangue la difesa dei diritti di tutte le donne del mondo».
Il suo messaggio, intanto, arriverà attraverso l’arte.
«Sento più volte recitare frasi del tipo: l’arte salverà il mondo. Io non credo che sia davvero così, ma sono convinta che l’arte abbia un potere straordinario».
Che significato assume quindi la parola “arte”?
«È l’espressione dell’anima. Ci sono alcune opere, tra l’altro, che hanno una straordinaria valenza sociale e raccontano più di mille parole. Ma l’arte, in qualsiasi forma, non lascia indifferenti e suscita una crescita spirituale. L’arte è veicolo di messaggi positivi. E incita al cambiamento».