Chemioterapia prima e, successivamente, il trapianto di cellule staminali del sangue prelevate dallo stesso paziente: funziona l’approccio ‘combo’ per combattere le forme più gravi e aggressive di Sclerosi multipla (Sm) da cui, solo in Italia, sono affette circa 10mila persone. Una combinazione che – sulla base di anni di osservazioni e follow up – si è dimostrata efficace ed apre a nuove speranze per tanti malati: nel 70% dei pazienti sottoposti alla terapia ‘combo’, infatti, a distanza di 10 anni la malattia non è progredita. La dimostrazione arriva da uno studio italiano presentato da Gianluigi Mancardi, professore di neurologia all’Università di Genova, al 38/mo Congresso del Comitato Europeo per il Trattamento e la Ricerca nella Sclerosi Multipla – Ectrims 2022. Si tratta di un approccio che combina due ‘armi’ potenti in successione, spiega Mancardi: “Prima si utilizzano farmaci chemioterapici per distruggere il ‘vecchio’ sistema immunitario anomalo del paziente, responsabile dell’innesco della reazione autoimmune alla base dell’insorgenza della malattia, e successivamente si effettua un trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche, ovvero staminali del sangue prelevate dallo stesso paziente, con l’obiettivo di ‘ricostruire’ il sistema immunitario questa volta corretto, in modo che non inneschi più i meccanismi autoimmuni che portano alla Sclerosi multipla. Dunque, il primo passo è eliminare un sistema immune anomalo – con la chemio che distrugge le cellule del sangue e le cellule immuni anomale, come i linfociti – ed il secondo è ricrearne uno nuovo.
Le staminali servono cioè a ricostruire le cellule del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) ed i linfociti, precedentemente distrutti. Si tratta dunque di un trapianto autologo, con cellule dello stesso malato, che è una tecnica utilizzata ormai da anni in ematologia”. Il risultato, sottolinea, “è quello di creare un sistema immunitario in parte nuovo e meno aggressivo che per un lasso di tempo di almeno 5-10 anni non fa progredire la malattia. In altre parole, il sistema immunitario ‘rinnovato’ non innesca più il meccanismo autoimmune che porta allo scatenarsi della Sm e lo studio dimostra che dopo 10 anni dal trattamento, in un paziente su 7 la malattia non è progredita e si è dunque bloccata”.
Lo studio presentato al congresso Ectrims – dal titolo ‘Efficacia del trapianto autologo: evidenze cliniche nelle forme a ricadute e remissione e nelle forme progressive’ – raccoglie i dati italiani relativi a tale procedura, sperimentata in vari paesi a livello mondiale. “Il nostro è uno studio osservazionale che riporta l’esperienza italiana negli ultimi 20 anni in oltre 200 pazienti, con i centri di Genova e Firenze che hanno coordinato l’attività”. Sono studi, chiarisce Mancardi, che “nell’ambito della ricerca sulla Sm sono in corso da circa 30 anni, ma ora c’è la prova dell’efficacia di questo trattamento sul lungo termine.
Va però precisato che la terapia riguarda solo le forme molto aggressive di malattia che non rispondono alle terapie tradizionali, ovvero il 5-10% dei malati che in Italia corrispondono a circa 10mila pazienti. Inoltre, la terapia ha dimostrato di funzionare in alcuni casi anche contro la forma progressiva di Sm, per la quale abbiamo pochi farmaci efficaci”. Attualmente, chiarisce Mancardi, “disponiamo di varie terapie target efficaci nelle forme recidivanti-remittenti di Sm, che bloccano e controllano la malattia, ma manchiamo ancora di terapie proprio nelle forme progressive, ambito nel quale non abbiamo armi sufficienti”. Da qui l’appello dell’esperto: “Bisogna finanziare di più la ricerca di base per capire i meccanismi che determinano la forma progressiva di Sm, ma purtroppo ad oggi siamo ancora lontani da tale obiettivo”.