«Odi et amo, il mio rapporto con Castellammare di Stabia si racchiude un po’ così. Io vivo fuori da 5 anni, molti miei amici non sono più qui, e questo mi dispiace. Spero che un giorno, questa città, riesca a trovare la sua strada dando ai giovani la possibilità di restare». È un appello di speranza quello con cui Gabriella Di Capua si rivolge, metaforicamente, alla propria città. «Cantante, autrice, producer» una ragazza dalle mille risorse che, nonostante i suoi appena 27 anni, ha collaborato con artisti dalla fama internazionale come Mario Biondi: «Una collaborazione nata mentre ero in conservatorio a Milano, un tributo ad Al Jarreau.
Una produzione difficile e importante, in cui ero una delle quattro voci, e fu tutto assurdo, in senso positivo. Innanzitutto, lavorare con un’orchestra ti dà un’energia molto diversa da quella che c’è magari in un quartetto. Poi lavorare accanto ad un nome come quello di Mario Biondi, vedevi un fiume di persone venire appositamente per ascoltare lui, è stata un’emozione indescrivibile». Ai microfoni di Metropolis, Gabriella è un vero uragano di simpatia e con lei abbiamo ripercorso la sua storia: «Il primo ricordo sono io, che andavo ancora all’asilo, su di uno sgabellino mentre canto “I paradisi”, in un concerto che teneva mio padre insieme al suo coro gospel in una parrocchia in città. Poi ho iniziato a suonare il piano, appassionandomi al canto in maniera “seria” in piena adolescenza ».
Da Castellammare a Dubai, nel mezzo tante tappe essenziali per la sua crescita: «Partire da Napoli è importante, ti dà una sorta di vantaggio perché qui ci sono musicisti assurdi. Qui ci mettiamo il cuore, non è una frase fatta o di routine, è una cosa che si avverte. A Milano, invece, ho trovato un ambiente accogliente seppur con un approccio diverso: più freddo da un punto di vista musicale ma allo stesso tempo più preciso, più organizzato. Un’altra tappa fondamentale è quella di Mosca, nel 2021. Grazie alla collaborazione con il progetto Zodiaco di Pellegrino, un progetto territoriale che pone il mondo partenopeo, tra luci e ombre, al centro. Una città meravigliosa che ci ha riservato un’accoglienza che mi ha lasciato letteralmente senza parole. Infine, Dubai. Quest’anno, infatti, ho avuto la possibilità di esibirmi al padiglione Italia durante l’expo tenutosi negli Emirati Arabi, dandomi modo di avvicinarmi e conoscere una cultura totalmente nuova, con regole e usi diversi dai nostri».
Figlia d’arte, ci racconta in che misura la famiglia ha influito su di lei: «La formazione dei miei genitori ha fin da piccola condizionato anche i miei gusti musicali, che non erano quelli dei miei coetanei. Questo ha poi indirizzato anche la mia carriera, logicamente». Dal soul e il jazz, al trip hop. Gabriella ci spiega la sua evoluzione musicale: «Ho iniziato dando voce a quelli che sono generi un po’ più riservati, meno ascoltati, ed è stata una conseguenza naturale della musica ascoltata in casa.
Una scelta fuori tendenza, fuori mercato, ma questo non è mai stato il mio primo pensiero. Mi sono poi avvicinata ad altri generi come l’hip pop o il rap, pensando erroneamente non ci fosse coerenza tra i generi. Poi, studiando, ho capito come in realtà nasca proprio tutto da lì, grazie alle mille sfaccettature che ha assunto negli anni. In generale, mi piace sperimentare ed amo la musica in tutte le sue forme ma se dovessi definire il mio genere attuale direi il trip hop, ma il jazz, e quello che solo questo genere può dare, resta nel profondo. Penso alle jam session che ti fanno vivere la musica in piena libertà dando spazio, attraverso l’improvvisazione, a ciò che hai dentro».
Fin qui, la storia di Gabriella sembra quella di una predestinata con le idee chiare fin da piccola, ma non è così: «Per un certo periodo mi sono dedicata ad altro, come alla pittura. Poi ho capito che non potevo abbandonare questa mia passione, ma non è stato semplice specialmente agli inizi.
Quando studiavo al conservatorio di Avellino, infatti, tanti erano i pregiudizi su di me da parte dei miei colleghi, in quanto cosiddetta figlia d’arte e quindi raccomandata. Quando mi sono trasferita a Milano finalmente potevo godere dei miei traguardi in maniera piena, senza che nessuno potesse sminuirli».
Sacrificio e dedizione, perché il talento non basta: «Bisogna esser “ossessionati” dal proprio lavoro per raggiungere grandi soddisfazioni. Io, lo ammetto, a volte pecco in questo senso perché diventa stressante. Sicuramente il talento da solo non basta, e i sacrifici sono il pane quotidiano con cui fare i conti, anche dal punto di vista economico. Spesso si suona senza ottenere un vero ricavo, rientrando solamente delle spese del viaggio magari, ma lo si fa per acquisire esperienza e crescere».
L’ultima battuta non può che essere per i progetti, attuali e futuri: «Ho pubblicato il mio primo album, “In the night”, che è molto autobiografico e racconta molto di me. Per il futuro, sto lavorando a diversi progetti, tra cui un’audizione importante che per scaramanzia tengo per me».