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Quante contraddizioni, qui non basta una corona
AGORÀ, AGORÀ DI METROPOLIS
10 novembre 2022
Quante contraddizioni, qui non basta una corona
Raffaele Schettino

È bastato il profumo di una corona per elettrizzare Torre Annunziata, violentata dalla camorra e umiliata dalla malapolitica dell’ultimo mezzo secolo. Rassegnata al peggio. Assuefatta al male. E questo in teoria dovrebbe dirla lunga sulla fame di riscatto strisciante di una terra che è passata dall’essere avanguardia di conquiste sociali a terra di conquista per mariuoli e boss sanguinari. Eppure scorgo in tutto questo clamore alcune contraddizioni.A proposito di storia, intanto. Pur essendo doverosamente ospitali con il principe Emanuele Filiberto, dobbiamo dire forte che Torre Annunziata non ha nulla a che vedere con la casa sabauda. Votò fieramente per la Repubblica nel 1946 e allora fu una mosca bianca nella Campania monarchica. Certo, essendo nata nel 1908, la squadra di calcio scelse un nome riconducibile all’universo scudato, in fondo dall’Unità d’Italia in poi in ogni angolo del Sud si ingoiava il rospo. Oggi diremmo che quella fu semplicemente un’abile strategia di marketing. Per ricerche fatte (cinque anni tra documenti e giornali per scrivere un libro di 600 pagine con due amici e colleghi) più del nome, i fondatori diedero peso al colore bianco delle casacche: bianche come la farina dei pastifici, quello sì un orgoglio perduto. Insomma, la città e la monarchia erano su sponde opposte. Del resto, all’alba del Novecento andava in scena il primo grande sciopero operaio a Torre Annunziata, dove era nata la prima camera del lavoro, e poi l’eccidio ignobile dei contadini uccisi dalle forze dell’ordine durante una protesta legittima. In più mi va di ricordare che nel Ventennio, gli operai della Ferriera decisero di accogliere Mussolini con un immenso drappo rosso sulle ciminiere. L’idea fu soffocata, i fischi no. Mussolini li sentì tutti, come li aveva sentiti qualche ora prima nel cantiere di Castellammare di Stabia. Detto questo, ogni cosa dovrebbe avere la sua giusta collocazione. Anche la visita di Emanuele Filiberto, con il quale abbiamo fatto una cordiale chiacchierata in radio a Metropolis. Per carità, va bene l’entusiasmo per la “discesa” dei Savoia nel calcio cittadino, anzi vanno fatti i migliori auguri al nuovo corso (anche se non ho ben capito chi farà cosa e come), ma non va bene per niente che questo entusiasmo si fermi dentro un rettangolo verde, sebbene il principe sia andato oltre, sfilando in città come un’autorità internazionale (forse anche questo un tantino esagerato). Questo fermento bisognerebbe che pulsasse prima di tutto per cose ben più importanti, per le cose che hanno determinato e stanno determinando il destino di Torre Annunziata e dei Comuni limitrofi. E invece non lo scorgo. Anzi, c’è apatia, disinteresse, rassegnazione pericolosa. Invece bisognerebbe che si discutesse della politica del futuro, per esempio, anche se le malelingue sussurrano che dietro all’operazione Savoia ci sia proprio un tentativo di restaurazione. Bisognerebbe che si discutesse di come alzare il muro anticamorra all’esterno dei Palazzi permeati senza sosta dagli anni Ottanta ad oggi nonostante la favola della svolta culturale e morale raccontataci dai duri e puri usciti indenni (chissà come) dalla prima Tangentopoli e travolti dalla seconda. Bisognerebbe che si discutesse seriamente della selezione della nuova classe dirigente, della visione di sviluppo della città e dell’intero territorio (intero territorio, senza stupidi e medioevali discorsi campanilistici). Vorrei sentire lo stesso fermento quando si parla di risorsa mare, di portualità, di svolta turistica, di difesa dell’ambiente, di nuovi processi di sviluppo in quello che da polo di ricchezza è stato trasformato in scenario di archeologia industriale a Rovigliano. Vorrei sentire la stessa passione quando si parla di giovani, di lavoro, di dispersione scolastica. Passione che attraverso metropolis provo inutilmente a stimolare da anni ricevendo in cambio una marea di “no, grazie. Non è il momento di esporci”. Come se la situazione non fosse catastrofica quasi al punto da definirsi irreversibile. Non è il momento mi dicono. Dopo lo scioglimento ho avuto per molti casi la risposta (anzi, la conferma) ai miei “perchè”. Per gli altri Non è il momento significa che non sanno cosa dire. E forse è per questo che bisogna finalmente guardare oltre tagliando il cordone ombelicale con un trentennio funesto.Ecco, in tutto questo colgo la più triste delle contraddizioni di questa terra: tanta, legittima, felicità per un pallone che potrebbe tornare a rotolare, e tanta, inaccettabile e odiosa, indifferenza per le vere emergenze di questa terra martoriata, sfortunata, svuotata, illusa e presa in giro, spolpata e rispolpata. A molti basterà il profumo di una corona, a me no. Non basta. Io amo profondamente la mia terra.

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