Vivere le cose e le persone, quanto è importante restare connessi con la realtà? Immaginate di passeggiare una sera tra le strade di una città costiera: state vivendo il momento e non conta altro che la persona con cui state parlando ma la tentazione è forte, i social chiamano ed è quasi impossibile non fotografare tutti gli scorci sul mare. Perché non postare una foto su Instagram e condividere il momento con i vostri amici? Vi trovate di fronte ad un cielo blu notte, il mare e le mille luci di una città quasi dormiente e alla fine cedete alla tentazione: quella foto finirà negli archivi social, i nuovi album dei ricordi, riguardandola poi vi ricorderete di quella serata.
In un’epoca in cui il social vince sul sociale è davvero difficile distinguere il filo che unisce il piacere della condivisione e la necessità di mostrarsi ovunque si vada, qualsiasi cosa si faccia. Spesso la necessità di essere sempre online sovrasta e distoglie l’attenzione dalle emozioni del momento. Tramonti, concerti, appuntamenti romantici, feste con amici e semplice quotidianità: restare connessi ma a cellulari spenti è la vera sfida.
Questa smania di condividere tutto costantemente è diventata un vero e proprio fenomeno sociale – dall’inglese oversharing – che ci vede tutti ugualmente protagonisti.
A dar credito alle teorie degli esperti, c’è l’avvento di un nuovo social: BeReal, ad ogni utente arriva una notifica che invita a condividere uno spaccato di realtà – da cui il nome – con i propri contatti. Senza filtri e con soli 2 minuti a disposizione, si scatta un selfie e contemporaneamente una foto a ciò che ci circonda. E ancora una volta il sottile limite tra la necessità ed il piacere diventa impercettibile.
I buoni intenti di BeReal sono chiari: promuovere una realtà senza filtri e senza pensarci troppo, pubblicare per condividere ed interagire simultaneamente. Rispondiamo tutti alla medesima notifica che ci dice essere il “momento giusto per mostrare ai propri amici cosa stiamo facendo”.
Non è più la spontaneità a scandire i tempi della condivisione, e non siamo più noi a scegliere cosa e quando pubblicare. È qui che il labile confine tra piacere e dovere crolla, facendo sprofondare il sistema su sé stesso, arrivando alla percezione sbagliata che un momento è vissuto davvero solo se condiviso con quante più persone possibili.
Il libero arbitrio sulla condivisione lascia spazio al puro narcisismo: l’intimità di alcuni momenti si trasforma in esibizionismo. A fare da testimone sono tutti i contenuti che dilagano su social come Tik Tok dove la vita privata diventa palcoscenico: gender reveal, proposte di matrimonio, momenti strettamente privati sono sotto gli occhi di migliaia di utenti generando approvazione e odio immotivato e distruggendo quelle che erano le poche barriere a difendere la privacy.
Non è, però, l’unico campanello d’allarme. Per molti ricercatori e studiosi, è altrettanto preoccupante il dilagare di un eccessivo egocentrismo. Si notano, in alcuni approcci alla comunicazione digitale, evidenti tratti narcisisti che hanno portato i più a definire la teoria del “narcisismo digitale”: nel 2018, infatti, due università di Swansea e Milano hanno condotto una ricerca in merito avvalendosi di 74 individui di età compresa tra i 18 e i 35 anni per un arco temporale pari a 4 mesi.
In questo periodo è stata analizzata l’assiduità con cui gli individui hanno utilizzato i social: i dati hanno registrato un utilizzo in media di 8 ore giornaliere in cui, per la maggior parte del tempo, ogni individuo era alle prese con la condivisione di selfie. È stato appurato, quindi, che i social moltiplicano il desiderio di essere al centro dell’attenzione dimostrando così che c’è un’evidente correlazione tra la frequenza di utilizzo dei social e tratti narcisistici.
Se prima c’era quasi timore a condividere qualcosa di personale, oggi si sacrificano censure e freni inibitori pur di richiamare like e follower, l’ago della bilancia di ciò che è o non è interessante, portando ad ostentare una vita ben diversa da quella reale, premiando le apparenze. Ma non è tutta colpa dei social. A muovere questi ultimi, infatti, c’è la dura verità degli algoritmi che, oltre a premiare o penalizzare i contenuti dei creator, analizzano le nostre interazioni e preferenze pilotando l’homepage dei nostri social. Più guardiamo e più ci verrà mostrato: forse siamo noi a voler premiare quelle vite di apparente perfezione a cui magari, segretamente, aspiriamo in parte e allo stesso tempo consapevoli che non c’è nulla di reale.
Indimenticabile e sempre attuale è la citazione della serie Netflix “Strappare lungo i bordi” firmata Zero Calcare: “Ci impuntiamo a fare il confronto con le vite degli altri. Che a noi sembrano tutte perfettamente ritagliate, impilate, ordinate. E magari sono così perfette solo perché noi le vediamo da lontano”. E se smettessimo di guardare e iniziassimo a vivere?