L’Italia torna a marciare a due velocità. Finito sotto la scure della pandemia, prima, e del caro prezzi e degli effetti della guerra in Ucraina nell’ultimo anno, il Mezzogiorno inverte la rotta del trend di crescita che aveva recuperato in linea con l’andamento delle regioni settentrionali e finirà con ogni probabilità in recessione nel 2023. Con il serio rischio che da questa situazione ne esca anche con mezzo milione di nuovi poveri in più. E’ il quadro shock dipinto dal quarantanovesimo rapporto Svimez presentato questa mattina alla Camera dei deputati. Su questo sfondo, come ha affermato il direttore generale dello Svimez Luca Bianchi, “il Pnrr è l’ultimo treno per il Mezzogiorno”. Secondo le stime del rapporto, già quest’anno la crescita del Sud e quella del Centro-Nord segnano un divario di oltre un punto percentuale (+2,9% contro il 4%) ma per il prossimo il Pil del Mezzogiorno finirà addirittura in territorio negativo. La contrazione stimata sarà dello 0,4%, mentre l’economia del Centro-Nord, pur segnando un forte rallentamento, rimarrà comunque positiva (+0,8%). Il dato medio italiano dovrebbe attestarsi invece intorno al +0,5% (3,8% nel 2022). Il rapporto sottolinea che “gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero quindi riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud”. L’aumento dei prezzi di energia elettrica e gas si tradurrebbe, per le imprese industriali, in un aumento in bolletta annuale di 42,9 miliardi di euro. Di questi, il 20% circa (8,2 miliardi) grava sul Mezzogiorno. E gli stessi rincari dei beni energetici oltre che di quelli alimentari faranno sì che l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta possa crescere di circa un punto percentuale, salendo all’8,6%. Forti saranno anche le eterogeneità territoriali: +2,8 punti percentuali nel Mezzogiorno, contro lo 0,3 del Nord e lo 0,4 del Centro. In valori assoluti tutto ciò si tradurrebbe in 760 mila nuovi poveri causati dallo shock inflazionistico (ovvero 287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione solo al Sud. Le politiche nazionali, avverte lo Svimez, dovranno quindi assicurare continuità alle misure contro il caro energia e accelerare il rilancio degli investimenti pubblici e privati. Un ruolo importante spetta al Pnrr: secondo Bianchi “bisogna accelerarne l’attivazione attraverso delle modifiche che dovrebbero riguardare il superamento del meccanismo dei bandi per le infrastrutture sociali quali ad esempio gli asili nido”. Ed è anche necessario che ci sia un coordinamento tra le risorse della coesione europea e lo stesso Pnrr. Il rapporto sottolinea inoltre che dopo lo shock della pandemia, l’Italia ha avuto una ripartenza pressoché uniforme tra macro-aree. Il Sud ha partecipato alla ripartenza nel 2021 con il Pil cresciuto del 5,9%, superando la media dell’Ue-27 (+5,4%), beneficiando delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese. Tuttavia i sistemi produttivi delle regioni meridionali si sono mostrati meno pronti ad agganciare la domanda globale in risalita e gli investimenti delle imprese orientati all’ampliamento della capacità produttiva sono stati meno reattivi rispetto al resto del paese. Successivamente le dinamiche globali avverse, compreso il trauma della guerra, hanno esposto l’economia italiana a nuove turbolenze, allontanandola dal sentiero di una ripartenza coesa tra Nord e Sud. Lo Svimez mette in luce infine che nel Mezzogiorno, oltre a esserci un’occupazione più precaria e occasioni lavorative molto più esigue per le donne, continuano a destare preoccupazione i divari rispetto al Centro-Nord in materia di istruzione.
CRONACA
29 novembre 2022
Il Sud adesso rallenta: sarà un altro anno nero tra recessione e poveri