Abbiamo ricevuto molti messaggi di indignazione scritti dai lettori di Sorrento per i titoli nei quali, sulla base del maxi-blitz con quasi 30 arresti, accostiamo il nome della città alla cocaina. Li ho letti con doverosa attenzione, certo che s’apprende più dalle critiche che dai complimenti. Tuttavia, non ho ben compreso se chi ha scritto è dispiaciuto per i titoli in sé, dunque spinto da quella miope filosofia campanilistica che è stata la rovina del nostro territorio e che ha stupidamente illuso molte comunità di poter essere indenni dalle emergenze confinanti, oppure se è angosciato del fatto che decine e decine di giovani di Sorrento (e non solo) abbiano iniziato da tempo a fare uso massiccio di cocaina. Nel secondo caso, l’indignazione è sacrosanta. Anzi, è il sentimento giusto per trovare la forza di reagire e di scendere finalmente in campo per salvare i ragazzi dalle tentazioni della malavita. Perché no, potrebbe essere persino la molla per costruire insieme barricate anticrimine. Nel primo caso, invece, l’indignazione è solo stupidità. E’ arretratezza culturale. È voler convincersi di vivere in un mondo perfetto che non lo è per niente. È il seme dell’incoscienza, diciamo un potente sonnifero che rende inermi e deboli davanti al nemico che avanza. E allora, a chi si indigna perché si sente offeso va ricordato che il crimine è un fenomeno globale e va combattuto insieme perché davanti a un cancro che si diffonde non c’è organo vitale che può definirsi immune. Del resto, la camorra non è un’emergenza limitata all’area di residenza dei boss o degli affiliati. Non a caso, inchieste alla mano, i soldi sporchi della criminalità dell’area torrese-stabiese e vesuviana sono stati investiti anche a Sorrento. Così come in tutti gli altri paradisi (o presunti tali) della Campania: da Pompei a Capri, per capirci. Un giornale ha il dovere di raccontarlo senza i paraocchi del campanilismo. A chi si indigna per i titoli va ricordato che la forza della camorra non sta solo nel tamburo o nella canna di una pistola, sta anche nella disgregazione del territorio nel quale c’è chi ha smesso di lottare per rassegnazione, paura o isolamento, e chi non lo ha mai fatto perché s’illude di essere intoccabile nel suo recinto dorato. Ecco perché continuiamo a perdere questa guerra: i clan hanno compreso i vantaggi della globalizzazione, le comunità del territorio non ancora.
Il commento del Direttore
16 dicembre 2022
Il commento del Direttore
Il crimine avanza, ma noi rischiamo di arretrare