Quante volte, al bar, ci è capitato di assistere a gruppi di persone che anziché parlare tra loro passano il tempo a guardare il proprio smartphone? Quante, invece, sono le volte che restiamo svegli fino a tarda notte presi da qualche serie tv o da una chat con un amico? Queste situazioni sono ormai sempre più frequenti, tanto da esser entrati non solo nelle vite di tutti ma anche nei nostri dizionari e corrispondono ai fenomeni del “phubbing” e del “vamping”.
Con il primo, si va ad indicare l’azione con la quale si trascura il proprio interlocutore fisico, la persona che è con noi in quel momento, a favore dell’utilizzo del cellulare, consultato spesso e in modo quasi compulsivo anche senza una reale motivazione.
Una delle conseguenze di questo fenomeno è il peggioramento della qualità delle relazioni, poiché l’interazione con gli altri viene continuamente interrotta dall’atto di controllare il proprio smartphone che in alcuni casi può condurre sino all’assenza totale delle interazioni stesse e l’auto isolamento all’interno di un qualsiasi contesto, che può essere una cena in famiglia o un’uscita con gli amici, finendo per minare la propria capacità di intrattenere conversazioni e di stringere rapporti con gli altri.
Il termine, che nasce all’Università di Sidney nel 2012, fa parte di un dizionario etimologico diventato virale grazie a un’accorta operazione di marketing e ai social media. Il paradigma delle relazioni sociali sane si è completamente capovolto, specialmente nelle situazioni patologicamente più preoccupanti dove non è più l’onnipresente smartphone a costituire una distrazione per la quale sentirsi in colpa ma tutto il contrario, è piuttosto chi ha avuto la sfortuna di capitare con quel 46,3% di partner vittime di phubbing a incarnare un irritante distoglimento, non più dalla vita vera ma dal display.
Il secondo termine, il vamping, è divenuto virale sul web nel 2014, anno in cui un articolo del New York Times ha indagato e approfondito le caratteristiche di questa tendenza, presentando gli utenti che hanno questo tipo di abitudini online come i «vampiri dei social media», indicando la pratica diffusa in particolare tra i più giovani di restare svegli tutta la notte fino all’alba, proprio come i vampiri, condividendo post o scambiando dei messaggi con un amico, guardando dei video o semplicemente scrollando tra i feed dei social media più diffusi.
Le persone che hanno questo tipo di abitudini tendono ad andare a letto scegliendo di proposito di non addormentarsi subito, e di restare online ad oltranza. A spingere questo fenomeno due le motivazioni principali. Da un lato ci sarebbe la volontà di essere connessi e di comunicare con i propri coetanei: la quiete notturna rappresenterebbe il momento ideale per farlo, poiché consente di avere maggiore privacy e assenza di interruzioni, potendo restare collegati per ore ed ore.
Dall’altro, invece, c’è la necessità di sfruttare l’unico momento libero nell’agenda iper piena degli adolescenti e dei giovani di oggi che, tra scuola o lavoro, sport o altre attività extra scolastiche, oltre allo studio, rimangono con ben poco tempo a disposizione per godere di altri tipi di interessi o semplicemente per socializzare con altri individui lontani dal caos della quotidianità.
La principale conseguenza del vamping è collegata alla mancanza delle ore di sonno consigliate e dei relativi risvolti che questa ha, di riflesso, sulla vita del ragazzo. La privazione del sonno, che può essere più o meno prolungata, può comportare diverse problematiche quali le variazioni di umore, l’irritabilità, ma anche deficit di concentrazione e difficoltà nell’apprendimento, alterando anche quella che è la capacità decisionale dell’individuo.
Questo tipo di pratica, infatti, può causare danni allo sviluppo psicofisico dell’adolescente e, com’è facilmente intuibile, può andare ad incidere negativamente anche sul rendimento scolastico e sui rapporti interpersonali. Un dato che fa riflettere, e preoccupare, è quello ottenuto da una ricerca condotta su 28 mila studenti della scuola superiore e che ha messo in evidenza il legame tra la mancanza di sonno e l’aumento di sentimenti negativi nei giovani. Chi dorme poco, e male, è più propenso alla manifestazione di tristezza o depressione, evidenziando come il tutto comporti anche un aumento del rischio e di una maggiore propensione a tendenze autolesioniste, che nel peggiore dei casi possono sfociare in azioni suicide.
Psicologi ed esperti da anni provano ad accendere i fari su questi fenomeni specialmente tra i genitori, sottolineando come proprio questi debbano vigilare sui propri figli fin da piccoli con regole precise in termini di utilizzo degli smartphone, coinvolgendo gli stessi in attività capaci di attirare il loro interesse e che li consenta di stringere personalmente nuovi rapporti sociali.
La battaglia intrapresa per un uso coscienzioso dei vari device e dei social è ancora all’inizio e ognuno di noi è chiamato a fare la sua parte.