Il magico mondo delle pubblicità rappresenta da sempre uno dei territori più esplorati da utenti e quindi fruitori ed economisti, quindi principali attori. La funzione primaria della pubblicità stessa, sotto ogni forma rappresentativa, è la medesima: preparare il possibile acquirente all’approccio con il prodotto o servizio pubblicizzato evidenziandone i pregi e l’utilità innescando meccanismi cognitivi che lo rendano desiderabile.
L’investimento economico – in molti casi davvero notevole – nelle strategie pubblicitarie deriva dal fatto che i consumatori, al momento dell’acquisto, debbano vivere il processo come spontaneo e non pilotato.
Di fatto, l’efficacia della pubblicità è valutata dall’effettiva esteriorizzazione dell’atteggiamento del consumatore. L’interconnessione dei due momenti dell’azione persuasiva pubblicitaria è spiegata alla luce della relazione tra atteggiamento favorevole verso il prodotto e il derivante comportamento di acquisto. Esiste una relazione profonda tra atteggiamento e comportamento: il primo si identifica come predittore del secondo.
Numerosi sono i modelli proposti ed ognuno di essi si conclude delineando una strategia vincente: la pubblicità e le strategie stesse adoperate devono essere viste come un’influenza sociale deliberata. Gli esperti pubblicitari utilizzano messaggi dotati di una forte componente emotiva al fine di innescare reazioni equivalenti attivando quelle aree del cervello umano dedicate al processo decisionale, la memoria e l’elaborazione delle risposte emotive.
Con l’avvento dei social media è stato doveroso implementare e rivoluzionare alcune tecniche. Si è venuta a creare, a sostengo e/o per necessità, un’intera branchia nel mondo del marketing: l’influencer marketing, fatti concreti un nuovo capitolo della disciplina in questione, tant’è che si fondano su di esso interi percorsi universitari e continui studi.
Principio generale su cui fonda è proprio la comunicazione persuasiva: quel processo con cui intenzionalmente gli individui vengono indotti a modificare i propri atteggiamenti, molto spesso inerenti all’acquisto di prodotti o servizi specifici. È un processo che può essere considerato come uno dei possibili tipi di influenza sociale e agisce con messaggi relativamente complessi in cui chi li espone fornisce degli argomenti a supporto della propria posizione.
I messaggi persuasivi sono più efficaci nell’influenzare il comportamento delle persone, quando vengono adattati alle caratteristiche psicologiche specifiche del pubblico cui si fa riferimento. Le interazioni sociali, l’intrattenimento, lo shopping e altre informazioni possono essere facilmente registrate e analizzate e questo ha fornito le basi per l’emergere delle scienze sociali computazionali con studi su larga scala basati su migliaia o milioni di individui.
A tal proposito e a testimonianza dell’efficacia della persuasione psicologica di massa indotta da figure come gli influencer, nel 2017 il sociologo David Matza, ha avviato uno studio basato proprio sui recenti progressi nella valutazione dei tratti psicologici degli individui ricavanti dallo studio di tracce digitali, ossia tutte quelle informazioni che ogni individuo lascia durante la navigazione sul web. Lo studio si snoda su tre esperimenti diversi che hanno coinvolto circa 3 milioni di utenti esposti a messaggi pubblicitari.
Matza ed i suoi colleghi hanno riscontrato che adattando il contenuto del messaggio, con le dovute tecniche di persuasione, alle caratteristiche psicologiche degli individui, si registrava un’alterazione significative del loro comportamento: i messaggi persuasivi hanno generato fino al 40% in più di interazioni e fino al 50% in più di comportamenti d’acquisto influenzati da questi.
Questo porta ad un’unica conclusione: la sapiente comunicazione persuasiva è a tutti gli effetti un’arte, riuscire a far fare agli individui ciò che si vuole mutando il loro stesso desiderio. Certo è che la capacità di attuare la persuasione psicologica di massa ad efficienti strategie di marketing porta ad enormi vantaggi economici ma a inconfutabili sfide etiche.
Se da una parte la previsione e conseguente consapevolezza delle preferenze individuali degli utenti online può essere utilizzata per migliorare numerosi prodotti e servizi – compresi i social media stessi – migliorando, inoltre, le stesse strategie di marketing alla base aggiungendo fattori psicologici fin ora poco considerati, dall’altra la prevedibilità delle stesse preferenze e quindi le tracce digitali degli utenti possono avere implicazioni negativi consistenti.
Qui risiede l’annosa questione: ad oggi la nostra privacy diviene consapevolmente o inconsapevolmente violata. I big data come i social media che quotidianamente usiamo, oltre a conoscere le nostre abitudini e i nostri spostamenti, hanno accesso alle nostre informazioni personali. Se l’etica è declinabile come “rispetto dell’essere umano” in tutte le forme e in tutti gli ambiti, ciò vale anche come “rispetto dei suoi dati personali”: quanto è sottile il divario tra ciò che è eticamente giusto e ciò che è previsto dalla legge?