«Un grande ospedale nelle Terme di Castellammare, che possa accogliere l’utenza della Napoli 3, è una scelta saggia. Ma siamo già in ritardo, perché l’assistenza sanitaria procede spedita verso altre direzioni».
Savio Marziani, ex direttore sanitario del Covid Hospital di Boscotrecase e del San Leonardo di Castellammare, commenta così l’investimento programmato dalla Regione Campania per una nuova cittadella ospedaliera sul territorio stabiese.
Marziani, cosa la preoccupa?
«I tempi di realizzazione. Mi passi una battuta: mi auguro davvero che i nostri nipoti riusciranno a vederlo».
Quindi non mette in discussione la bontà del progetto?
«Assolutamente no, ci mancherebbe altro. Il nuovo ospedale di Castellammare è una bella storia, apre uno spiraglio importante nell’offerta dell’assistenza. C’è finalmente la possibilità di creare un polo unico in penisola per tutti i residenti dell’area costiera e uno sul territorio stabiese, al servizio dei comuni dei Lattari e di parte dell’area vesuviana, centralizzando gli investimenti e ottimizzando le risorse».
Bisognerebbe chiudere gli altri presidi?
«Lo so che rischio di essere impopolare, ma se la politica avesse avuto coraggio lo si sarebbe fatto già qualche tempo fa, tanto sul territorio della Napoli 3 Sud, quanto a Napoli. C’è un modello da seguire, nonostante faccia storcere il naso a molti».
Quale sarebbe?
«Quello che abbiamo applicato per Ginecologia e Ostetricia. I reparti che non riuscivano a fare determinati numeri sono stati chiusi e si è dirottato il lavoro su pochi ospedali. Le risulta che oggi le donne non partoriscano più o non vengono assistite? Ecco, la stessa cosa andrebbe fatta per l’emergenza-urgenza. Vorremmo tutti avere un pronto soccorso sotto casa, ma vi assicuro che se l’abbiamo a 7 chilometri non cambia nulla dal punto di vista dell’emergenza-urgenza».
Però è preoccupato per i tempi di realizzazione.
«Questa è la nota dolente. I lavori per l’ospedale unico della penisola sorrentina a quest’ora dovevano essere già in fase avanzata, invece non sono nemmeno partiti. Abbiamo un problema enorme con la burocrazia e a volte manca anche un po’ di decisionismo, sempre per diatribe politiche. L’unica fortuna è che l’Asl Napoli 3 Sud oggi ha davvero degli ottimi dirigenti».
Qual è il rischio di ritardi nella realizzazione di un’opera del genere?
«Noi abbiamo un’emergenza, che ormai è sotto gli occhi di tutti e va affrontata oggi, non tra vent’anni. Mancano medici e personale sanitario. In questo periodo mi sto occupando di monitoraggio dell’andamento della Sanità con Regione Lombardia e Regione Calabria e vi assicuro che è in atto una vera e propria rivoluzione».
Di che tipo?
«In Lombardia sono impegnati dottori che arrivano dalla Bolivia e da Cuba, che affiancano il personale nei pronti soccorso. In quasi tutti gli ospedali ormai vengono utilizzati i medici a gettone, ovvero quelli delle cooperative. I costi sono alti, un anestesista percepisce 1400 euro al giorno lordi, un medico di pronto soccorso 1200 euro. Ma è inutile gridare allo scandalo. Noi dobbiamo fare Sanità e la nostra materia prima sono i medici».
Medici che sono sempre più attratti dalla Sanità privata.
«Purtroppo nel pubblico sanno che non riusciranno a trovare mai stipendio e turni di lavoro adeguati. Se prendi un giovane chirurgo, che ha voglia di fare, e lo mandi in pronto soccorso, magari con doppio turno, è finita. Gli hai fatto perdere tutto il suo entusiasmo». Quindi è inevitabile andare sempre più verso la Sanità privata.
«I medici a gettone sono già una testa di ponte per la Sanità privata, che non deve essere vista come uno spauracchio. Con le giuste regole, dal mio punto di vista, può funzionare».
Togliere il numero chiuso per la facoltà di Medicina può essere una strada per risolvere il problema della carenza di personale?
«Questa è una mia vecchia battaglia, anche perché i test di ammissione non offrono chissà quali garanzie sulla preparazione dei giovani. Non si può giudicare un ragazzo in 3 ore di quiz».
E l’Autonomia differenziata la spaventa?
«Molto. Siamo troppo indietro, soprattutto in Campania, per pensare di poter reggere il confronto».
Per concludere, insomma, il rischio a suo avviso è che i nuovi ospedali di Castellammare e della penisola possano essere realizzati quando l’emergenza avrà ormai cambiato radicalmente il mondo dell’assistenza sanitaria?
«E’ proprio così. Accanto a quei progetti serve una programmazione per l’immediato. Bisogna investire di più nella Sanità pubblica, evitare gli sprechi e soprattutto riorganizzare il lavoro sui territori. Ancora oggi nell’Asl Napoli 3 Sud sono a libro paga medici e infermieri che non si sa bene dove lavorino, tra i veri distretti e reparti ormai svuotati. Non è facile, lo so bene. Da direttore del Covid Hospital ho dovuto affrontare dure battaglie con i sindacati riguardo alla ridistribuzione del personale. Ma senza un’organizzazione puntuale dei dipendenti avremo sempre reparti che vanno in sofferenza e altri dove invece c’è uno spreco di risorse umane».