I capoluoghi di provincia del Mezzogiorno impiegano mediamente un mese in più di quelli del centro-nord a saldare i propri debiti. Napoli si conferma la grande città con tempi di pagamento più lunghi: 173 giorni dalla ricezione di una fattura, poco meno di 6 mesi. I tempi medi di pagamento dei più importanti comuni italiani però si stanno tendenzialmente accorciando e si sono mediamente ridotti di 4 giorni nell’arco del 2023, rispetto all’anno precedente. E’ quanto emerge da un’indagine del Centro studi Enti locali. Le città capoluogo di provincia l’anno scorso hanno pagato i propri fornitori, mediamente, in 27 giorni, centrando quindi l’obiettivo fissato nel 2022 dalla norma di riferimento, il decreto legislativo 231 del 2002. Sul podio dei comuni capoluogo virtuosi ci sono Pordenone, Padova e Grosseto che hanno saldato i propri debiti, l’anno scorso, in poco più di 8 giorni, con oltre 21 giorni di anticipo rispetto al tempo massimo concesso dal nostro ordinamento. La maglia nera resta salda nelle mani di Napoli che si conferma invece la grande città italiana con i tempi medi di pagamento più lunghi. Nel 2023 ha saldato i propri debiti, mediamente, in 173 giorni, poco meno di 6 mesi. Un risultato ancora lontanissimo dall’obiettivo dei 30 giorni fissato dalla legge ma che denota comunque un significativo balzo in avanti rispetto al passato. Nel 2022 la media della città partenopea era stata infatti di 236 giorni (quasi 8 mesi), nel 2021 le fatture erano state saldate a 258 giorni (circa 8 mesi e mezzo), nel 2020 la media aveva superato gli 11 mesi (344 giorni) e nel 2019 era stato sfondato addirittura il tetto dei 14 mesi (425 giorni). Secondo i dati del Centro Studi Enti Locali al penultimo posto della classifica c’è Chieti, che ha impiegato mediamente 3 mesi a saldare i propri debiti (91,85 giorni, contro i 99,47 del 2022), seguita da Catania con 66,77 giorni (contro i 70,55 del 2022). Su Palermo, altra grande città che storicamente ha avuto tempi di pagamento superiori alla media, resta un punto interrogativo posto che il dato diffuso sul sito sembra essere incongruo (-65,4 giorni) e si presume sia destinato ad essere rettificato. Mediamente le città del nord hanno un indicatore di tempestività dei pagamenti 2023 di -11,12 giorni, Vale a dire che hanno pagato i fornitori in circa 19 giorni. I tempi si sono dunque accorciati rispetto al già ottimo dato 2022, in cui i pagamenti erano stati fatti mediamente a 21,59 giorni. Solo due su 49, i capoluoghi di provincia settentrionali che risultano aver sforato il tetto dei 30 giorni: Imperia (22 giorni di ritardo medio) e Alessandria (15 giorni di ritardo). Sei le amministrazioni che non hanno ancora reso pubblico il dato annuo. Non lontana la performance delle città del centro Italia che hanno mediamente saldato i debiti in 19,41 giorni, contro i 24,19 del 2022. Ferma restando l’incognita sulle 5 città che non hanno ancora pubblicato il dato 2023, sono solo 3 su 24 i capoluoghi di provincia che hanno superato (e di poco) il limite dei 30 giorni nelle 4 regioni centrali. Si tratta di Roma (+7,34 giorni), Perugia (+0,25 giorni) e Terni (+0,27 giorni). Più critica la situazione nelle città del Mezzogiorno, dove mediamente i creditori sono stati pagati con 20 giorni di ritardo, a 49,73 giorni dalla ricezione della fattura. Anche qui però si registrano segnali di miglioramento, considerato che l’anno precedente il ritardo medio era stato di 26,91 giorni. Premesso che una su due delle città del sud e delle isole non ha pubblicato l’indicatore annuo entro il 31 gennaio, tra i capoluoghi di provincia ricompresi nell’analisi, si registrano 14 ritardatari e 6 virtuosi. A sforare il tetto dei 30 giorni sono state: Barletta, Benevento, Caltanissetta, Campobasso, Caserta, Catania, Catanzaro, Chieti, Napoli, Oristano, Salerno, Teramo, Trapani e Vibo Valentia. Bene invece Cagliari, Bari e Sassari che hanno pagato mediamente in 16 giorni, Lecce (18 giorni), Ragusa (24 giorni) e Pescara (28 giorni). Il tema dei pagamenti della pubblica amministrazione, dunque, fa riferimento diretto anche alla solvibilità e alla capacità economica delle imprese. “E’ chiaro che – sostengono gli esperti – che questi ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione finiscano per avere forti ripercussioni anche sulla solvibilità delle imprese. Che se non incassano dallo Stato, per cui hanno già svolto lavori e magari già pagato i dipendenti, finiscono per trovarsi in difficoltà con le banche. Costrette, dunque, a chiedere aiuto, quando va bene agli istituti di credito, quando va male anche a persone poco raccomandabili pur di avere liquidità necessaria. E quando arriva dopo mesi il pagamento alla fine quei soldi servono solo a pagare i debiti e non a rinforzare l’azienda e la sua struttura».
CRONACA
7 febbraio 2024
Fatture enti pubblici, al Sud si paga con un mese di ritardo