Trent’anni fa l’omicidio che segna un momento importante nella storia della lotta contro la camorra: sono le 7 di mattina del 19 marzo 1994 quando, Don Giuseppe Diana, conosciuto da tutti come Don Peppe Diana, ha pagato con la sua vita il suo coraggioso impegno civile sancito nella lettera “Per amore del mio popolo non tacerò” diffusa nel giorno di Natale del 1991 in tutte le chiese della sua diocesi. Nato il 4 luglio 1958 a Casal di Principe, in provincia di Caserta, Giuseppe Diana frequenta il liceo classico nel seminario di Aversa prima di proseguire i suoi studi a Napoli, laureandosi in Teologia biblica nella Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale e in Filosofia all’Università degli studi Federico II.
Nel marzo 1982 viene ordinato sacerdote e nel 1989 diventa parroco della chiesa di San Nicola di Bari, nel paese che l’ha visto nascere, Casal di Principe. Durante quegli anni, il comune campano in provincia di Caserta, vede manifestarsi sempre più la forte presenza del clan dei Casalesi, con a capo il suo boss Francesco Schiavone, meglio noto come “Sandokan”.
Il clan è potentissimo, controlla i traffici illeciti di sostanze stupefacenti, gli appalti per lavori edili e riesce a infiltrarsi nelle istituzioni locali. Casal di Principe diventa in quegli anni l’epicentro di un sistema camorristico.
Don Giuseppe Diana però non cala la testa difronte a ciò che accade nella sua città. Non accetta che la sua Casal di Principe rimanga stretta tra le mani della camorra. Il giovane parroco inizia così la sua battaglia: nel 1991, Don Peppe Diana pubblica la famosa lettera che viene diffusa in tutte le chiese della zona aversana e che diventa una sorta di manifesto dell’impegno contro quel sistema criminale. Nella lettera la camorra viene paragonata a una “forma di terrorismo” che riempie “il vuoto di potere delle istituzioni civili in disfacimento”, caratterizzate da “corruzioni, lungaggini e favoritismi”.
Di fronte a tutto questo, Don Peppe Diana rivolge un appello alla comunità civile e alla stessa Chiesa, chiedendo “ai preti nostri pastori e confratelli di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa”. Il clan dei Casalesi e il suo boss Sandokan, non possono far finta di nulla dinanzi a tale affronto: un gesto di sfida che il parroco aveva mosso contro un potentissimo sistema. Passano tre anni fino a quando, la mattina del 19 marzo, giorno in cui si festeggia San Giuseppe e la festa del papà, Don Peppe Diana viene sorpreso da un sicario nella sacrestia della sua chiesa e ucciso con quattro colpi di pistola.
Le indagini sono segnate da diversi tentativi di depistaggi e di infangare la memoria del parroco. Il processo si conclude con la condanna all’ergastolo per Nunzio De Falco, ritenuto il mandante dell’omicidio, Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori, e la condanna a 14 anni per Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio che in seguito ha collaborato con la giustizia.
Il 25 aprile 2006 nasce a Casal di Principe il Comitato Don Peppe Diana, fondato da “persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo”.