Torre del Greco. “Non ha avuto il coraggio di abortire, e l’ha ucciso dopo… è un diavolo, un mostro, che ha ingannato me, mio figlio, e anche i periti”. Lo ha detto il marito di Adalgisa Gamba, la donna che il 2 gennaio 2022 ha soffocato il figlio di due anni e mezzo a Torre del Greco, in provincia di Napoli.
Oggi, nell’aula 115 del nuovo palazzo di Giustizia di Napoli, davanti ai giudici della terza Corte di assise, i tre superperiti nominati dal Tribunale hanno illustrato le conclusioni della loro relazione che indicano l’imputata “incapace di intendere e volere”. “La vogliono far passare per santa – ha detto il marito della Gamba – ma è un mostro”.
Per i periti la psicosi che ha reso Adalgisa Gamba incapace di intendere e volere è iniziata in occasione della sua seconda gravidanza: “ha pensato – hanno sottolineato i tre esperti – che stava sfidando il destino, temeva che il figlio potesse essere affetto da autismo”. “La nascita del secondogenito – hanno spiegato – per Adalgisa Gamba aveva significato sfidare la sorte: riteneva che le fosse già andata bene la prima volta (con la nascita della bimba, che adesso vive con il padre e la nonna materna)”.
“Va ricordato – hanno detto ancora i periti del Tribunale- che il 3 gennaio, cioè il giorno dopo l’omicidio del bimbo, era in programma la visita con il pediatra che, secondo la donna, avrebbe sancito definitivamente la malattia del secondogenito (che non è mai stata accertata)”.
IL PERITO DI PARTE
“Quando muore un bambino, la società in primis e la famiglia si devono sempre mettere in discussione: un bambino non è solo di una madre ma è di una madre e di un padre. E se una madre sta talmente male da non essere in grado di occuparsene la responsabilità non è solo sua”. Punta il dito contro chi non si è accorto delle gravi condizioni psicologiche in cui versava l’imputata, la dottoressa Alessandra Bramante, consulente dell’avvocato Salvatore Del Giudice, legale di Adalgisa Gamba, la mamma che il 2 gennaio 2022 a Torre Del Greco, ha ucciso il suo bimbo di due anni e mezzo, Francesco, convinta che fosse malato, così come lo erano la madre e il padre, quest’ultimo finito in cura in un ospedale psichiatrico.
Oggi, durante il processo, i tre periti nominati dalla Corte di Assise di Napoli, i professori Giuseppe Sartori, Pietro Pietrini e Stefano Ferracuti, hanno spiegato alle parti in causa che la donna era incapace di intendere e volere al momento dell’omicidio e che Adalgisa non può essere ritenuta responsabile della morte di suo figlio.
Durante il processo, più volte e da più parti, è stato sottolineato che non esistono diagnosi in tal senso e che proprio il timore che il piccolo potesse essere malato, affiancato da alcuni sui comportamenti male interpretati, avrebbe innescato ansia, angoscia e infine la psicosi reattiva breve sfociata drammaticamente nell’omicidio del piccolo.
La dottoressa Bramante, che è anche consulente dell’avvocato che ha difeso Alessia Pifferi, qualche giorno fa condannata all’ergastolo, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha voluto evidenziare le differenze tra i due casi ma anche un’analogia: anche in questo caso “la famiglia se ne è lavata completamente le mani, si è dimenticata di queste persone, non si è ritenuta responsabile”.
Per la dottoressa non si è neppure tentato di capire il dramma di quella donna, anzi: “ho visto mariti che hanno chiaramente detto ‘io vicino a te non voglio più stare, perché quello che hai fatto a mio figlio è intollerabile, ma poi hanno cercato di capire. Non si sono costituiti parte civile per far vedere che non avevano nessuna responsabilità”.
Prima di lasciare Napoli e tornare a Milano la consulente dell’avvocato Salvatore Del Giudice ha ricordato un episodio che l’ha particolarmente colpita: “Io ricordo che la prima volta che ho visto la signora, credo 15 giorni dopo l’omicidio: mi ha detto ‘io sto meglio qua che a casa’: evidentemente a casa sua c’era l’inferno. Perché lei, con questa situazione del bambino (che potesse essere malato come la madre e il padre), stava vivendo l’inferno. Era convinta che ormai non valeva più la pena di vivere”.