Giuseppe Luongo è un vulcanologo di fama mondiale, ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano.
Professore lei sta seguendo la crisi di queste ore? Che idea si è fatto?
«Diciamo che sono fenomeni che non mi hanno sorpreso. La velocità del sollevamento del suolo che si è incrementata nei giorni recenti ha dato un carico forte al sistema deformandolo e poi liberando energia sotto forma di frattura e quindi di terremoto».
Non è un fenomeno del tutto nuovo.
«Certo non è una condizione particolarmente nuova ma sicuramente siamo a un livello mai raggiunto nè in questa crisi nè, tantomeno, nella crisi precedente degli anni ’80».
Che idea si è fatto di questo sciame che sta terrorizzando la popolazione flegrea?
«Il terremoto maggiore dell’altra sera è stato di magnitudo 4.4, mai registrato nell’area flegrea ed è un elemento particolare interessante. Possiamo solo sperare che non vada oltre questa energia sismica e che la magnitudo 4.4 sia il limite massimo. Superare questo livello significherebbe che il vulcano si comporta in modo che non rientra nelle mie capacità di valutare un sisma più elevato». Lei ritiene che vi sia una probabilità che questa magnitudo aumenti?
«Sulla base dei dati disponibili ritengo poco probabile che vi sia un sisma più elevato, ma una stessa magnitudo può attendersi. Utilizzando il modello comportamentale delle rocce di quest’area e se le valutazioni sono corrette le previsioni o l’attesa di un evento di maggiore energia può essere considerato poco probabile».
Cosa bisognerebbe fare secondo lei in questo momento?
«Bisognerebbe definire con maggiore dettaglio e precisione le aree potenzialmente più pericolose. Serve un’indagine dei campi più impegnativi senza avere la certezza di un risultato positivo. Analizzare dettagliatamente il territorio per verificare dove si libera più energia sismica e allontanare le persone dalle abitazioni che non sopportano energia più elevata. Accelerare lo studio della vulnerabilità degli edifici e analizzare il territorio nei punti di maggiore pericolo. L’ultimo elemento che abbiamo per difenderci è allontanare la popolazione e vedere segnali premonitori. Questo è il grande lavoro che deve fare la ricerca».
E la ricerca lo sta facendo?
«Non mi faccia domande così cattive (ride n.d.r)Diciamo che io lo farei.Dobbiamo mettere in campo tutte le energie che abbiamo, richiamiamo i migliori ricercatori per confrontarsi, per capire chi ha la valutazione più prossima a quella corretta. Questo problema va affrontato con molto impegno e riconoscendo le idee valide».
Secondo lei tra gli scenari possibili vi è un’eruzione?
«Con i dati a nostra disposizione non è possibile parlare di possibile eruzione, ma di una risposta delle rocce più superficiali a delle sollecitazioni. La forma a campana della conca flegrea determina il terremoto. Le fratture agevolano le risalite di gas e le aperture diventano più fragili: se c’è del magma in prossimità risale. Questo può accadere. Se il magma è in profondità non abbiamo problemi legati a fenomeni eruttivi. Anche se io starei attento perchè il magma non sta lontano dalla superificie. Dobbiamo capire se è vicino: questo è il punto: se è il magma che sta spingendo o i gas che stanno spingendo. Sciogliamo questi nodi sennò non capiamo come difenderci sia dal terremoto che dalle eruzioni».
Qualcuno teme che Campi Flegrei e Vesuvio possano essere collegati. E’ così?
«Guardi non sono riflessioni banali o stupide. Separare le aree vulcaniche napoletane non è un modello che funziona. Personalmente o per quello che abbiamo compreso in anni di studi, l’energia viene dalla stessa sorgente cioè da 30 chilometri in profondità. Da questa sorgente migrano masse che prendono a risalire in superficie e restano intrappolate nella crosta a 7-8 km e in quella zona parliamo di che sono separate. La sorgente più superficiale per Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia, che sono le tre aree vulcaniche napoletane, sono separate. Ma quella comune, più giù è attiva. Non dimentichiamolo mai»