La riforma della giustizia del Governo Meloni spacca la politica italiana e fa insorgere i magistrati che proclamano iniziative di protesta contro la decisione. E’ stato approvato un disegno di legge costituzionale per l’introduzione di norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare. Le nuove norme intervengono allo scopo di distinguere, all’interno della magistratura, che “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, la carriera dei magistrati giudicanti e quella dei magistrati requirenti, e di adeguare l’ordinamento costituzionale a tale separazione.
Cosa cambia. Si prevede, di conseguenza, l’istituzione del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, entrambi presieduti dal presidente della Repubblica. Di tali Consigli superiori fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previste dalla legge. Ciascun Consiglio elegge il proprio vicepresidente fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento. I membri designati mediante sorteggio durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva. Non possono, finchè sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, nè far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. Spettano a ciascun Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati. Con le nuove norme, la giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti, è attribuita alla neo-istituita “Alta Corte disciplinare”. L’Alta Corte è composta da quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università’ in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione nonchè da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. I giudici dell’Alta Corte durano in carica quattro anni e l’incarico non può essere rinnovato. L’ufficio di giudice dell’Alta Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, del Parlamento europeo, di un consiglio regionale o del governo, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge. L’Alta Corte elegge il presidente tra i giudici nominati dal presidente della Repubblica e quelli sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.
La reazione dell’Anm. Un comitato direttivo centrale, convocato d’urgenza per il 15 giugno “per assumere altre iniziative”. E’ quanto ha deciso la giunta dell’Associazione nazionale magistrati che si è riunita per discutere della riforma della giustizia approvata dal Cdm. Il Comitato sarà aperto anche alle altre magistrature. “La logica di fondo del disegno di legge sulla separazione delle carriere e l’istituzione dell’Alta corte si rintraccia in una volontà punitiva nei confronti della magistratura ordinaria, responsabile per l’esercizio indipendente delle sue funzioni di controllo di legalità. Gli aspetti allarmanti delle bozze del disegno di legge sono molteplici, leggiamo una riforma ambigua che crea un quadro disarmante’’. Ad affermarlo è una nota della Giunta esecutiva centrale. È una riforma “che non incide sugli effettivi bisogni della giustizia, ma che esprime la chiara intenzione di attuare un controllo sulla magistratura da parte della politica, che si realizza essenzialmente con lo svilimento del ruolo e della funzione di rappresentanza elettiva dei togati del Csm e con lo svuotamento delle sue essenziali prerogative disciplinari, affidate a una giurisdizione speciale di nuovo conio’’, denuncia. “Quella di oggi è una sconfitta per la giustizia, significa dar più potere alla maggioranza politica di turno, danneggiando innanzi tutto i cittadini” conclude la giunta dell’Associazione nazionale magistrati.
Le reazioni politiche. La riforma della giustizia è utile al Paese? “E’ indispensabile”. Così il ministro della Giustizia Carlo Nordio dopo aver partecipato alla cerimonia celebrativa del centenario della morte di Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati. I tempi per l’approvazione? “Quelli costituzionali”, ha risposto il Guardasigilli. L’opposizione esprime preoccupazione. Con la separazione delle carriere ci saranno delle procure come “super poliziotti con sotto la polizia giudiziaria. Un attimo dopo ci si dovrà chiedere: chi li governa? E non può che farlo il ministro della giustizia. Io mi chiedo, chi tutela di più i cittadini? Un pm che risponde a un giudice imparziale o un superpoliziotto che risponde al politico di turno? Questo spiegheremo ai cittadini”. Lo ha detto il presidente del M5s, Giuseppe Conte. “Stiamo combattendo la nostra battaglia in Parlamento contro la riforma costituzionale della destra che colpisce soprattutto il ruolo del Capo dello Stato e le funzioni del Parlamento. Lo faremo anche nel Paese e combatteremo questa battaglia anche in caso di referendum. Ma è evidente che con la riforma della giustizia si materializza plasticamente il grande baratto sulla Costituzione tra premierato, autonomia differenziata, e giustizia al servizio del governo. E’ uno scambio all’interno della maggioranza che si abbatte sulle nostre istituzioni”. Così il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia.