E’ ripartito questa mattina il processo per l’omicidio di Maurizio Cerrato, il dipendente degli Scavi di Pompei ucciso il 19 aprile del 2021 al culmine di una lite nella quale il 60enne aveva provato a difendere la figlia. Un omicidio consumatosi proprio sotto gli occhi della figlia Adriana che questa mattina, assieme alla mamma Tania Sorrentino, era in aula nel Tribunale di Napoli. Sul banco degli imputati sono ritornati Giorgio e Domenico Scaramella e Francesco e Antonio Cirillo, tutti condannati in primo grado a 23 anni nonostante l’accusa avesse chiesto ergastoli. «Non andrò mai via dalla mia città, dalla mia Torre Annunziata, come loro, e da me avranno sempre battaglia» ha ribadito la vedova Cerrato. Ma la cosa che le ha dato enormemente fastidio è stata la richiesta di assoluzione avanzata dagli avvocati della difesa. «`Assurdo, come se mio marito si fosse ucciso da solo, ritengo sia una richiesta inaccettabile», dice Tania Sorrentino. “Riteniamo che i 23 anni di carcere inflitti agli assassini di mio marito sìano pochi, anche il pm ha chiesto l’ergastolo: noi, dal primo giorno, chiediamo solo giustizia. E che a queste persone venga data giusta pena affinché non possano fare del male anche ad altri».
Con Tania Sorrentino, oggi in aula, c’era anche la figlia Maria Adriana, testimone dell’omicidio del padre: «Quanto è accaduto mi ha reso più forte, ma ora provo meno emozioni. Per fortuna il ricordo di mio padre mi aiuta a non abbattermi. Ritornare al processo è però molto complicato. Confido nella giustizia e ritengo l’ergastolo una pena giusta. Nonostante quello che mi è accaduto continuerò con il mio percorso di vita e non consentirò a nessuno di togliermi anche questo».
Tornando al giorno dell’omicidio, Maria Adriana, che adesso ha 23 anni, dice di avere visto gli imputati braccare il padre, che subito dopo trova la morte con un fendente al petto e, rispetto alla volontarietà, o meno, di uccidere, manifestata da alcuni imputati, Maria Adriana è determinata: «Non conta quello che ho visto io, ma quello che è emerso dall’autopsia: la violenza della pugnalata era stata inequivocabilmente impressa per uccidere, il medico legale lo ha appurato».
Per il legale della famiglia Cerrato, l’avvocato Giovanni Verdoliva, è naturale che «la famiglia, rispetto a ciò che accaduto e subìto, ritenga che l’unica pena possibile sia l’ergastolo: Maurizio Cerrato è stato brutalmente assassinato per avere difeso se stesso e la figlia da un’aggressione. E’ stato punito per avere avuto la meglio su Giorgio Scaramella il quale poi chiama con una videotelefonata il fratello Domenico Scaramella che si presenta sul luogo dove poi troverà la morte insieme con Antonio e Francesco Cirillo. Lì si consuma l’omicidio, in pochissimi secondi. E la spedizione punitiva aveva come unico obiettivo compiere un omicidio. Noi riteniamo – ha concluso l’avvocato Verdoliva – che Giorgio Scaramella sia il mandante di un omicidio e gli altri tre imputati gli esecutori materiali».