Napoli. Uno studio italiano svela possibili marcatori nel sangue per permettere una diagnosi precoce della schizofrenia, uno dei disturbi psichiatrici con maggiori ricadute in termini di qualità della vita per chi ne è affetto e di costi per la salute pubblica.
Le cause di questo disturbo restano in gran parte sconosciute, rendendo difficoltosa anche l’individuazione di marcatori biologici di diagnosi e prognosi. Una recente ricerca italiana ha, però, portato alla luce conoscenze che potrebbero dare un impulso innovativo proprio alla diagnosi precoce della schizofrenia, svelando possibili biomarcatori nel sangue.
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Schizophrenia (Nature Group), è stato condotto presso il Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e coordinato da Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze traslazionali del Ceinge e professore ordinario di Biochimica clinica dell’università della Campania Lugi Vanvitelli, in collaborazione con i professori di Psichiatria Antonio Rampino e Alessandro Bertolino dell’università di Bari Aldo Moro, con Matteo Vidali, direttore della Struttura complessa di Patologia clinica dell’IRCCS Ca’ Granda ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e Francesco Errico, professore di Biochimica dell’università degli Studi di Napoli Federico II.
“I nostri esperimenti – ha spiegato Alessandro Usiello – hanno rivelato che i livelli sierici di due amminoacidi atipici D-aspartato e D-serina, potrebbero rappresentare biomarcatori utili per tracciare gli stadi precoci di psicosi, prima che i sintomi della schizofrenia diventino clinicamente manifesti, candidandosi a diventare potenziali indicatori di rischio della transizione da fasi prodromiche del disturbo all’esordio conclamato della malattia”.
Inoltre, prosegue il neuroscienziato, “lo studio, durato oltre 5 anni e finanziato dai ministeri della Ricerca e della Salute e con i fondi Pnrr (progetto MNESYS), ha utilizzato una metodologia di chimica analitica per misurare i livelli di una serie di amminoacidi che modulano lo stato di attivazione di recettori noti per essere implicati nella fisiopatologia della schizofrenia. In particolare, grazie alla stretta collaborazione con l’ospedale di Bari abbiamo esaminato 251 individui, suddivisi in quattro gruppi di diagnosi clinica, ciascuno ad un diverso stadio della malattia”.