Non è più un soggetto pericoloso ed ha pagato il suo debito con la giustizia: quasi 30 anni tra carcere e casa lavoro. Venerdì ha fatto ritorno nel suo fortino, il rione di Santa Caterina perché i giudici non lo ritengono più un soggetto pericoloso. Si tratta di Raffaele Di Somma, alias ‘o ninnillo, boss del Centro Antico di Castellammare di Stabia e figura di punta della camorra degli anni ‘90. Venerdì pomeriggio Di Somma, dopo due anni, ha lasciato la casa lavoro dove era confinato. Il suo legale, l’avvocato Giuliano Sorrentino, ha presentato istanza di scarcerazione al Tribunale di Sorveglianza che ha accolto le motivazioni della difesa per «sopravvenuta mancanza di pericolosità». Condannato per associazione mafiosa e omicidio, ‘o ninnillo è tra le figure chiave del maxi-processo “Sigfrido”, il procedimento infinito che vede alla sbarra il gotha della criminalità stabiese. Processo che dopo un infinito valzer di rinvii e sentenze annullate è ripartito da capo qualche anno fa, e nel 2021 è arrivata la sentenza di primo grado. A Di Somma i giudici hanno riconosciuto il vincolo della continuazione con altri reati commessi negli anni, condannando il boss del quartiere Santa Caterina a 28 anni di carcere complessivi. E così dopo 26 anni, grazie a un’ulteriore istanza per ottenere uno sconto di pena, Di Somma ha lasciato il carcere nel 2022 per poi, dopo breve periodo di libertà, essere trasferito in casa lavoro che ha lasciato venerdì, giorno in cui i giudici hanno sentenziato la sua liberazione. Nelle motivazioni della sentenza del processo Sigfrido emessa dai giudici del tribunale di Torre Annunziata è ricostruita la storia della camorra stabiese e anche l’ascesa criminale del capoclan, ritenuto il boss del quartiere di Santa Caterina, almeno fino a metà anni ‘90. Di Somma, dicono le carte, è stato prima un soldato dei D’Alessandro e poi la figura di punta del così detto clan dei falsi pentiti che provò a spodestare l’egemonia dei padrini di Scanzano senza successo. Condannato a 24 anni di carcere per ben 7 omicidi commessi nell’ambito della guerra tra i D’Alessandro e gli Imparato, Di Somma si sarebbe occupato per conto di Scanzano del traffico di droga. Secondo la ricostruzione dei giudici Di Somma si allontanò dal clan e venne condannato a morte dai boss dei D’Alessandro, decidendo poi di collaborare con la giustizia. Un pentimento lampo ma sufficiente per finire agli atti del maxi-processo alla cupola della camorra. I suoi verbali del 1997 hanno raccontato gli affari del clan, il sistema di corruzione imbastito dai D’Alessandro, la capillare rete estorsiva costruita dai boss che ancora oggi emerge dalle recenti inchieste. Ma anche i fatti di sangue che hanno macchiato la città. Capo del clan dei falsi pentiti, Di Somma è entrato in carcere nel 1996 per poi uscire completamente dai circuiti penitenziari venerdì pomeriggio. Una scarcerazione che fa alzare ulteriormente il livello di attenzione sul territorio di Castellammare di Stabia. Solo negli ultimi due anni sono tornati in libertà figure del calibro di Pasquale D’Alessandro e Giovanni D’Alessandro, rispettivamente figlio e cugino del padrino Michele D’Alessandro, lo storico fondatore della cosca di Scanzano deceduto in carcere.
CRONACA
19 gennaio 2025
Castellammare. Autore di 7 omicidi, libero il boss Di Somma