Uno studio sui vulcani attivi apre nuove prospettive per Vesuvio e Campi Flegrei
Uno studio pubblicato su Science Advances da un team dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) ha scoperto che analizzando la frequenza dei terremoti di bassa magnitudo rispetto a quelli più forti, migliora la previsione delle eruzioni vulcaniche.
I ricercatori hanno analizzato per 20 anni l’attività sismica dell’Etna , osservando come la variazione del b-value (paramentro che misura il rapporto tra eventi sismici piccoli e grandi) riflettano le diverse fasi della risalita del magma, dalla crosta profonda alla superficie.
Queste variazioni possono anticipare anche di mesi i segnali geochimici:“Questo perché i terremoti rivelano nell’immediato i movimenti del magma in profondità, mentre i gas, prima di essere rivelati in superficie, devono attraversare diversi kilometri di superficie terreste”, spiega Marco Firetto Carlino, primo autore della ricerca.
Lo studio sull’Etna ha una risonanza particolare in un altro contesto vulcanico, quello dei Campi Flegrei, dove negli ultimi anni si è registrato un aumento della sismicità e del sollevamento del suolo. Il metodo potrebbe rivelarsi prezioso anche per il monitoraggio della zona ovest di Napoli, dove la sismicità e il sollevamento del suolo sono in aumento.
I Campi Flegrei sono attualmente in fase di sollevamento bradisismico, un fenomeno legato al movimento dei fluidi magmatici o idrotermali del suolo.
Ricerche come queste offrono nuove strade per migliorare la prevenzione e la sicurezza delle popolazioni che vivono in prossimità dei vulcani attivi, proprio come i paesi vicini al Vesuvio.


