Poppea sui silos, l’icona più naturale sulla porta d’accesso all’area archeologica
Se vi è mai capitato di guardare Torre Annunziata dal mare, seguendone il profilo che inizia nella magica baia di Oncino, i vostri occhi saranno certamente inciampati nei silos grigi e cupi che si stagliano sul molo di levante. Diciamocelo: sono orrendi. Fastidiosi come uno scossone che ci sveglia sul più bello, stonati come una nota sbagliata sullo spartito. Su due piedi, onestamente, verrebbe da dire: buttiamoli giù. Ma è chiaro che non è una strada praticabile. Primo, perché sono ancora attivi e versano cascate di grano in centinaia di camion ogni giorno (semmai dovremmo chiederci seriamente con quali ricadute benefiche sulla città, ma questa è un’altra storia). Secondo, perché sono anche una testimonianza del passato laborioso e florido di Torre Annunziata.
Tuttavia, se cambiamo prospettiva, la distorsione visiva provocata dai silos potrebbe persino tornare utile. Il gigante grigio può diventare una gigantesca tela monumentale affacciata sul mare, e potrebbe urlare al mondo le verità profonde di una città che vuole ritrovare la sua anima alzando finalmente lo sguardo facendosi forza sul turismo, sulla cultura e sulla bellezza. Immaginiamo, per esempio, il volto affascinante di Poppea disegnato sui cilindri di cemento. Una figura potente del suo tempo, decisamente più profonda di quella che ci è stata tramandata dai racconti spesso distorti e ingiusti. Diventerebbe l’icona della storia di Oplonti affacciata sul mare e sul futuro, come una nuova Venere del Sud.
Un richiamo all’epoca romana, certo, ma anche un’immagine fortemente contemporanea in grado di dialogare idealmente con i grandi esempi della street art mondiale. Con i volti umani dipinti da JR tra le favelas e le periferie del mondo, per esempio. Con la donna di Mag Magrela ispirata a do Amaral, disegnata a San Paolo in ginocchio e con la parola «presente» tatuata sul petto. Con quella di Mauro Neri, ritratta con gli occhi spalancati e le scritte «Veracidade» e «Igualdade» (cioè veridicità e uguaglianza) contro le discriminazioni. Oppure coi murales sociali partoriti dalla mente e dall’estro di Eduardo Kobra. Con le opere politiche di Blu sui monumenti della Roma dimenticata. E ancora, con i murales di Jorit, che sono sempre più spesso un graffio nelle nostre coscienze.
Poppea Sabina disegnata sui silos racconterebbe la vera storia di Torre Annunziata. E lo farebbe in maniera suggestiva, parlando a quanti arrivano dal mare, oppure dalle rotaie della ferrovia più antica d’Italia o a chi s’inerpica sui sentieri del Vesuvio per guardare dall’alto un golfo paradisiaco. Una “voce” poderosa con una scenografia naturale che non ha uguali: lo scoglio di Rovigliano, la Penisola Sorrentina, l’isola di Capri e, ovviamente, l’immensità di un mare che deve tornare ad essere risorsa economica e culturale. I silos potrebbero proiettare anche a qualche miglio dalla costa la voglia di rivalsa di questa terra che vuole tornare ad essere terra di conquiste civili, di cultura, di dignità. Diventerebbero la copertina di una nuova narrazione in grado di appassionare prima di ogni altro i torresi stessi, che colpevolmente hanno di ricordare di essere figli di una storia grandiosa, con gli ideali antifascisti nelle vene, i fermenti popolari e culturali nell’animo, le grandiose visioni collettive nella mente, i laboratori politici e le officina di ideali nel cuore.
Ma c’è di più in questa idea di trasformare i Silos in un faro culturale: pensati come una monumentale tela affacciata sul mare non sarebbero più soltanto il simbolo di Torre Annunziata, diventerebbero un tratto identitario dell’intero golfo e dell’intera area vesuviana. Del resto, l’immagine di Poppea, signora di Oplonti, moglie di Nerone ma anche donna profondamente impegnata nelle vicende sociali, politiche e religiose dell’Impero romano, sarebbe anche l’immagine più naturale da dipingere sulla porta di accesso via mare all’immenso patrimonio archeologico di Pompei. Uno scrigno di storie e di storia, in parte già patrimonio Unesco, che di fatto inizia appena qualche centinaia di metri verso l’interno per aprirsi poi verso la città Mariana, Boscoreale e Stabia.
Infine, ridare nuova vita ai silos significherebbe dare slancio a tutti i progetti in essere sul waterfront torrese tutto da ripensare e rigenerare. Significherebbe mettere le ali ai progetti da immaginare e a quelli che da decenni giacciono colpevolmente nei cassetti degli uffici comunali per l’inerzia dell’azione amministrativa. Significherebbe avere il coraggio di immaginare l’area portuale di Torre Annunziata, la sua darsena dei pescatori, il trincerone borbonico e le sue spiagge nere, al centro di una grande expo’ dell’arte e dell’innovazione, un progetto che dovrebbe coinvolgere il Comune, la Città Metropolitana, la Regione, la Rete Ferroviaria Italiana, il Parco Archeologico e, perché no, le imprese che operano sui moli, che finora tanto hanno avuto ma pochissimo hanno dato a questa terra.
Torre Annunziata non ha bisogno di rinnegare il proprio passato per guardare al futuro. Ha bisogno di rileggerlo, reinterpretarlo, riabbracciarlo con uno sguardo alto. E nulla, come l’arte, può compiere questo gesto in modo più potente. Un murale sui Silos, un’installazione sulla darsena, un percorso museale nei locali del trincerone borbonico non sarebbero solo un’attrazione. Sarebbero una dichiarazione d’identità. Un grido silenzioso e potente. Una promessa collettiva. Soprattutto, un nuovo inizio.

